– Rivelazione –

(Dettato ad Anita Wolf nell’aprile 1954)

 

Gli ultimi giorni terreni dell’arcangelo primario Uraniel, il portatore dell’Ordine, nella sua incarnazione come Mosè.

[citazione cap.4,17]:  «“Sì, Mosè, tu eri adirato, perché il popolo si era allontanato da Me e da te. Se fu la tua ira, e tu, uomo, hai spezzato perfino le Tavole della Vita, che non erano opera tua – ed Io non trattenni il tuo braccio – allora dimMi : chi potè fermare la Mia ira, quando dovetti vedere cosa accadde in quel giorno?”. Mosè manda un respiro profondo.  “…Non è morto l’uomo, quando gli mancano i polmoni, …le Tavole della Vita?”».

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Quando morì Mosè

 

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Titolo originale: “Als Mose starb

 

L’originale edito dal circolo degli amici di Anita Wolf - C/o Jurgen Herrmann

Hohenfriedberger Strasse, 52 - 70499 Stuttgart

Email:     bestellung@anita-wolf.de.

Sito:       http://www.anita-wolf.de 

 

Traduzione: Ingrid Wunderlich – Izzo Antonino

Questa edizione in lingua italiana è stata curata dal gruppo:

‘Amici della nuova Luce” – www.legamedelcielo.it

Contatti:    info@anitawolf.it

 

 

Commento al libro

 

 

INDICE

Cap. 1

L’ordine della disposizione del campo attorno al Tabernacolo di preghiera – Mosè nel gran Consiglio fa i conti a Israele – Il Jesurun – I principi Eljasaf e Selumiel

Cap. 2

Kahathael è arrestato, mentre dei serpenti infuocati lo controllano – Altri quattro principi traditori – Il giudizio di Mosè, che sa tutto – Il coraggioso fanciullo Sanhus

Cap. 3

La sommossa si manifesta, ma Dio stesso la blocca – Mosè prega affinché l’Ira di Dio si plachi – I reazionari toccati dalla lebbra di Dio, vengono confinati

Cap. 4

La preghiera di Selumiel e cos’è l’Ira di Dio – Le Tavole della Vita frantumate sul Sinai – Un nuovo mantello proveniente dal Tabernacolo

Cap. 5

I mori fedeli, il medico e la Parola di Dio a Giosuè – Un nuovo mantello nella notte ricca di Grazia

Cap. 6

Elizur e Ahira con la moltitudine dei cadaveri – L’inesorabile e benevolo Mosè mette ordine – Isora, una samaritana verso Mara, e futura sacerdotessa

Cap. 7

La grande predica di Mosè e tutto Israele lo riabilita – Sanhus va al santo Tabernacolo e il Signore gli parla – L’amore paterno del Principe Hur

Cap. 8

La resa dei conti di Dio, visibile nella nuvola, con Israele – La grande gioia di Mosè e del popolo, nel suo 120° compleanno

Cap. 9

Dio parla al popolo attraverso Mosè – Il santo Esteriore; Il Tabernacolo di Grazia di Dio – Sanhus vive l’avvenimento spirituale con Dio e Mosè-spirito

Cap. 10

Giosuè presiede l’adunanza generale – Sanhus racconta, poi guida la ricerca del mantello – Mosè non si trova – Alla fine, Dio copre Giosuè col mantello

 

 

PERSONAGGI

 

 DIO                    quale Signore e Padre d’Israele; il SUPREMO

 

 Hur                    gran principe, capo delle dodici tribù bibliche

 Abidan               principe della tribù di Beniamino

 Ahi-Eser             principe della tribù di   Dan          (traditore)

 Ahira                  principe della tribù d    Ruben       (possibile alleato coi rivoltosi)

 Eliab                  principe della tribù d    Zabulon

 Elisama              principe della tribù d    Efraim       (traditore)

 Elizur                 principe della tribù di   Naftali       (possibile alleato coi rivoltosi)

 Eljasaf                principe della tribù di   Gad, figlio di Deguel          (fedele a Mosè)

 Gamliel              principe della tribù d    Manasse   (traditore)

 Nahesson           principe della tribù d    Giuda        (traditore)

 Nathanael           principe della tribù d    Issacar

 Paghiel              principe della tribù di   Aser

 Abeldan             capo dei sette anziani

 Deguel               anziano principe, padre di Eljasaf

 Helon                 principe anziano, padre di Eliab

 Gideone             principe anziano, padre di Abidan

 Nun                    anziano giudice sacerdote d’Israele

 Pedazur             anziano principe di Manasse, padre di Gamliel

 Zuri-saddai         un vegliardo, padre di Selumiel

 Eleasar               3° figlio di Aaronne, (sommo sacerdote)

 Ithamar              4° figlio di Aaronne, (sommo sacerdote)

 Enan                  padre di Ahira

 Esaù                  co-reggitore di Mosè

 Ehubia               guardiano del bestiame e sorvegliante dei recinti     (affiliato traditore)

 Giosuè               figlio di Nun, mano destra di Mosè

 Irma                   moglie di un ittita

 Isora                  moglie di Kahathael, sorella di Mara                                              

 Jusamon            padre di Kahathael (era il povero per cui Mosè uccise l’egiziano)

 Kahathael           aspirante principe della tribù di Gad          (traditore)

 Mara                   moglie di Ehubia istigatrice della rivolta

 Mosè                  l’arcangelo-primordiale ‘Uraniel’, il portatore dell’Ordine

 Riboal                servo del recinto degli animali, aiutante di Ehubia (affiliato traditore)

 Saccar                servo del recinto degli animali, aiutante di Ehubia (affiliato traditore)

 Sanhus              figlio di Isora e Kahathael di tredici anni

 Selumiel            principe della tribù di Simeone, moabita, figlio di Zuri-Saddai

 Asmodeo                demonio biblico

 uno di Aser             l’uomo più fedele di Paghiel

 due donne              sostegni di Isora

 due mori                 servi speciali di Mosè della tribù degli ittiti

 il principe               di Beth-Peor e di Moab

 

 

 

Luoghi

 

 Ar                   una regione occupata da Israele

 Bezer              città nel deserto di Ruben

 Giordano       un fiume e regione

 Golan             città in Basan

 Hesbon           un paese occupato da Israele

 Horeb             un monte

 Nebo               un monte

 Pisga               una catena montuosa

 Ramoth          città nel Gilead

 Seir                 un monte, sede dei figli di Esaù, del Giordano

 

 

 

(Ipotesi del campo)

 

 

«E lo SI seppellì nella valle nel paese dei Moabiti

di fronte a Beth-Peor.

Nessuno ha conosciuto la sua tomba,

 fino al giorno d’oggi.»

[Deuteronomio 34,6]

 

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Cap. 1

L’ordine nella disposizione del campo attorno al Tabernacolo della preghiera [vedi ipotesi campo]

Mosè nel gran Consiglio fa i conti a Israele

Il Jesurun – I principi Eljasaf e Selumiel

1. Il Sole fa scorrere leggermente i suoi raggi sulle alture non molto lontane da Seir[1], che Israele, sotto la guida dell’uomo di Dio, Mosè, ha girato a lungo, esplorandone il territorio periferico, allorquando un suono di tromba penetra attraverso il campo interno. Alcuni uomini escono dalle tende; le loro donne, in parte già coperte dal velo del giorno, occhieggiano curiose attraverso i drappi delle porte, per vedere quel che succede. Anche i loro figli si fanno largo, ma non sono fatti uscire dalle madri, poiché il giorno non è ancora annunciato con la tromba che segna il tempo.

2. Mosè sta all’ingresso di un sontuoso edificio che serve per le consultazioni; esso si trova di fronte al Tabernacolo della preghiera, ma non davanti al suo ingresso principale. Egli aveva eretto questo cosiddetto Tabernacolo della preghiera, perché il popolo andava malvolentieri al santo Tabernacolo di Dio, a causa del suo continuo borbottare; serviva quindi una specie di seconda Casa di Dio, in cui si entrasse con meno timore, sebbene anche in essa Mosè parli severamente e ammonisca, secondo lo Spirito di Dio. Inoltre, il Tabernacolo si trova fuori del campo, in un luogo separato, circondato da un ampio recinto. Purtroppo per Israele, il SIGNORE è ancor sempre ’fuori', fuori dal suo mondo personale.

3. Dall’ingresso del quadrangolare Tabernacolo della preghiera, attraverso il brulicame delle tende, una larga via in linea retta conduce verso ponente. L’edificio per le consultazioni si trova a destra, mentre sulla sinistra c’è la tenda personale di Mosè. Questa via costituisce il collegamento principale tra il centro del campo e il santo Tabernacolo, e conduce al suo ingresso rivolto verso Levante. Dalla porta aperta si guarda quindi senza impedimento dall’interno all’esterno, come anche dal Tabernacolo al centro del campo.

4. Dai restanti tre lati del Tabernacolo della preghiera si traccia altrettanto una via principale attraverso il campo. I quattro percorsi si chiamano vie del mattino, del mezzogiorno, della sera e della notte, secondo i punti cardinali celesti, secondo i quali sono preparati ad ogni fase iniziale del campo.

5. Dagli angoli del Tabernacolo della preghiera, ancora delle strade di secondo ordine conducono attraverso il campo, suddividendolo in otto grandi angoli piramidali. Le otto strade principali sono collegate da sette vie circolari e dividono in tal modo il campo ancora in sette circoli abitativi. Un’ottava strada circolare, che però non si conta, completa il campo in modo irregolare. Essa è adatta al paesaggio ed è costruita come baluardo.

6. Anche se il Tabernacolo della preghiera si trova su una specie di piazza da mercato, il popolo raramente vi si trattiene, eccetto quando Mosè lo chiama lì a raccolta. Perfino la sua tenda personale, che con quelle dei suoi quattro aiutanti principali, e gli edifici pubblici, costituiscono il primo anello del campo, è evitata.

7. La prima strada circolare racchiude le spaziose tende. Il secondo anello del campo racchiude le tende dei dodici principi e quelle che conservano le ricchezze d’Israele. Il terzo anello appartiene ai settanta anziani insieme all’artigianato, e dove giungono derrate alimentari unitamente a beni di necessità per la distribuzione, per la vendita oppure anche per il baratto.

8. La terza strada ad anello forma una certa barriera del punto interno del campo, che il popolo in genere rispetta, anche se troppo spesso strepitante per la paura, in genere non estirpabile, perché già molto è accaduto conto la ribellione. La gente cadeva a terra all’improvviso, un fulmine la consumava, e altro ancora. Ci si ricorda, all’inizio del cammino attraverso il deserto, dell’uomo che parlò duramente contro Mosè e – come un giorno la moglie di Lot – divenne una statua di sale, che nessuno poté distruggere, mentre il popolo per il terrore passò rapidamente oltre. Una volta, per lo stesso motivo, bruciarono vaste parti del campo. In seguito, il Santo fece inghiottire dalla terra Korach, insieme alla sua banda.

9. Nelle ulteriori quattro parti dell’anello del campo da deserto, dimora il popolo. Ogni tribù occupa un proprio quartiere. Anche il bestiame utile e da macello ha i suoi posti delimitati. Dal settimo anello fino al Tabernacolo è una via, quasi altrettanto lunga quanto quella fino al centro del campo. Per il rischio d’incendio, le tende non sono poste troppo vicine, e tra due file di tende misurate precisamente, rimane tanto spazio per le vie per andare avanti e indietro indisturbati, il che s’è dimostrato assai pratico in ogni occasione.

10. Presso le tende non si devono trovare né erba né cespugli. Mosè e i suoi fedeli sorvegliano tutto continuamente; per lui, la condizione essenziale è la massima pulizia. Con l’infrazione Mosè procede inesorabilmente, perciò è più temuto che amato. Solo i saggi sanno che questo rigore per l’ordine è il suo ardente amore per il popolo. Oasi sono incluse nel campo. Il bestiame riceve propri abbeveratoi all’occorrenza preparati. Nessuno deve gettare sudiciume sulle vie.

11. Per cose minute fin dentro le singole tende, per gli approvvigionamenti, per il legislativo, per la superiore competenza giuridica, per la riconciliazione di litigi, per la determinazione dei prezzi, per i valori di scambio e per qualsiasi altra cosa sia necessaria a un popolo nomade, continuamente in crescita, c’è solo un uomo, sulle cui spalle stanno tutti questi fardelli: MOSE’! Chi si trattiene nelle sue vicinanze, impara a chinarsi, che lo voglia o no, indipendentemente dal fatto che Mosè non pretenda da nessuno il chinarsi; eccetto che davanti al Santo d’Israele.

12. Il ‘chinarsi’ lo provano anche i principi e gli anziani che, al suono della tromba, rivolta solo al secondo e terzo giro di tende, accorrono. Mosè sta all’ingresso della tenda dell’adunanza, alla sua destra Nun ed Eleasar, alla sinistra, Giosuè, figlio di Nun, e Ithamar. Eleasar e Ithamar sono i figli del defunto Aaronne. L’anziano Nun tiene nella mano lo scettro bianco da giudice, Giosuè il grande libro. Due servitori mori sollevano con riverenza le cortine della porta, che richiudono di nuovo in silenzio, dietro ai due uomini entranti. Robusti giovani circondano la tenda, con le facce rivolte verso il campo.

13. La parte principale della spaziosa tenda, alla quale si aggiunge un piccolo ambiente separato, fornisce sedie per circa duecento persone. Le sedie sono così ordinate, che ogni partecipante possa vedere Mosè. Oggi ci si raduna nell’ambiente separato. L’intera tenda è pressoché isolata acusticamente. Nessuna spia potrebbe sentire più che un cupo mormorio, anche se avesse sfondato la linea dei sorveglianti. I convocati occupano le loro sedie; Mosè e i suoi collaboratori principali si recano al tavolo da giudice, sul quale depongono i loro simboli dignitari: il libro e, su questo, lo scettro bianco.

14. Gli uomini si sentono oppressi. Le spalle di Mosè sono piegate come non hanno mai visto finora. Qualcosa di stanco lampeggia negli occhi svegli, che riflettono abbastanza spesso il fuoco del Santo, dinanzi al quale il popolo ha timore. Ma quando egli posa lo scettro bianco da giudice sul libro della legge, tutti, si alzano di scatto. Bisogna guardarlo come un potente, come uno che raramente è esistito sulla Terra. I radunati abbassano le loro teste un po’ ingrigite. Poi guardano nel volto di quell’uomo che da quasi quarant’anni guida il popolo eternamente insoddisfatto attraverso vasti deserti, attraverso i pericoli, su mandato di Dio, che solo un uomo può adempiere, ma che uomo non è! Nessuno dal basso! Sì – con pieno diritto essi guardano verso quest’uomo.

15. Mosè comincia a parlare e dice: “Principi e anziani! Vi sia annunciato per tutta l’Israele: quando stavamo presso il monte Horeb, io vi ho scelto, e voi sapete che settanta uomini hanno ricevuto del mio spirito proveniente dal Signore. Alcuni, li ha inghiottiti la via del deserto; essi hanno raggiunto la terra promessa non terrenamente. Tuttavia, a chi è trovato fedele, sarà aperta la porta per la ‘Canaan superiore’, che è più importante e più ricca di quanto fu l’Eden, abitato da una coppia umana fatta da Dio. La Canaan superiore rimane eternamente! Ciononostante non si deve sperare solo nel deserto; ma è meglio, per chi può camminare dal paese terreno promesso come primo passo nella santa terra promessa. Se in questo mondo si agisce giustamente, allora si ritornerà a Casa come giusti, là dove sono entrati i vostri alti padri.

16. Io ho dovuto darvi molte disposizioni dalle sante Leggi di Dio. Se dal popolo – come voluto – fosse sorto il ‘JESURUN’[2], potrei tranquillamente chiudere gli occhi e lasciarvi andare verso il paese che il padre Abramo possedeva. Ogni disposizione svelata da DIO, oppure datavi dal mio spirito, serviva a cancellare il mormorio del popolo contro Dio, per fare Israele interiormente, ed esteriormente per il suddetto JESURUN. Però, il seme di Giacobbe, quanto più si tiene rigido, tanto più il Santo gli dona Grazia”. Mosè tace. Prende in mano una tavoletta che Giosuè gli porge. Dopo aver letto ancora una volta ciò che vi è scritto – come già spesso nella notte – si rivolge di nuovo agli uomini:

17. “Principe Eljasaf, figlio del ricco Deguel, tu mi hai portato con questa tavoletta, di nuovo, il mugugnare della tua tribù contro di me. Alcune tribù si sono unite con Gad; ma voi siete di opinione differente sulla vostra meta. Non sarebbe meglio seguire il santo Consiglio di Dio, il cui muro di nuvole e la colonna di fuoco, proteggono incessantemente il Suo Israele?!

18. Per valere dinanzi a Dio, Gad[3] dice: “Non siamo malcontenti contro di Te, Tu, Santo! Chi vorrebbe levar la mano contro di Te, e che non gli morisse presto? Ma Ti riempiamo gli orecchi contro Mosè; sua è la colpa di tutti i disagi che noi, i nostri anziani e i nostri figli, dobbiamo sopportare, perché sulla Terra non abbiamo una patria. I pagani increduli costruiscono solide città; i loro beni sono di grande valore. Le loro greggi non custodite, pascolano su terreni grassi e presso acque fresche, Tu invece tieni duramente il Tuo popolo! Allontanaci Mosè, e noi saremo obbedienti a Te!”

19. Mosè posa lentamente sul libro la tavoletta d’accusa. C’è un silenzio mortale. L’uomo di Dio alza la sua fronte e domanda: “Principe Eljasaf, è questo anche il tuo pensiero? Vieni qua e svelaci il tuo cuore! Ma sappi: ‘Lo scettro del Signore’ annuncia la Verità! Poiché l’accusa contro di me, è il mugugnare celato contro Dio! Quando il Santo verrà a prendermi, il che potrebbe essere possibile, prima che al popolo piaccia, allora dovrà sopportare Giosuè il mugugnare[4], e dopo di lui tutti quelli che saranno ancora ‘guide’. Soltanto – se il popolo si potesse salvare ‘così, io me ne andrei volentieri dove nessuno potrebbe trovarmi!”

20. Questo non è il lamento di un uomo stanco; è un sacrificio cosciente, fedele al santo Comandamento. Un tremito assale i forti cuori degli uomini, come non è mai accaduto. Essi si piegano ancor più profondamente dinanzi al grande spirito che sovrasta tutti. Lo sentono: ‘Ora il Dio personale, così raramente visibile anche agli anziani, sta accanto a quest’uomo che non perde mai totalmente quello splendore per il quale una volta dovette velarsi per tre giorni, perché né Aaronne, e ancor meno il popolo, potevano sopportare il suo volto colmo di Luce’.

21. L’ultima parola consacra una meta che l’uomo rivela nel fervore della sua obbedienza a Dio. E la meta del Cielo passa sopra quella del mondo, come i cherubini stanno sopra il Tabernacolo di Dio. L’occhio del profeta, infatti, contempla la Magnificenza, perché lui – del quale, Dio personalmente testimoniò «…che non ci sarà un profeta più grande di Mosè»[5] – vuole ordinare e di nuovo portare a Casa la povera lontananza con cuore paziente e caldo d’amore sul santo grandioso sentiero dell’Ordine della suprema Grazia di Dio.

22. Non vive Israele nonostante il Tabernacolo, nonostante l’immediatezza della Rivelazione celeste, nella vastità, quasi lontano e senza tempo, perché non vuole pensare al santo tempo posto da DIO? Non è come nella lontananza, un po’ smarrito? Deve essere per questo ‘l’eletto’, attraverso il quale è da condurre a Casa la povera lontananza della Creazione? Tuttavia, il popolo nomade non è fissato ad altro che al terrenamente promesso, che il Signore ha dato per indirizzare liberamente al ritorno i figli smarriti. Poiché se Israele potrà portare insieme Mosè oltre il Giordano, allora DIO farà del popolo il JESURUN, una stupenda perla della Sua Casa suprema.

23. Quest’immagine sta davanti allo sguardo interiore dell’uomo che, da decenni, è guida di un duro popolo, e che – per salvarlo – in Egitto commise un omicidio, e fu uomo di Stato e giudice, sacerdote e profeta, amico e maestro, un padre, come anche un fratello per i più piccoli di quel popolo.

24. Eljasaf, il principe di Gad, si è alzato. Avanza tranquillo verso il tavolo da giudice e stende la sua destra allo scettro bianco. Nun, il venerabile, glielo porge, non senza una parola di benedizione. Ma il principe può invalidare il sospetto.

25. “Fiducioso levo il mio cuore a Dio; perché io sono puro dalle grida della mia tribù. Mosè, chiama uno di Gad, fagli prendere lo scettro e vedi cosa succede! Ho sempre parlato a tuo favore, perché non tu, ti sei elevato sopra di noi, ma DIO ti ha scelto! Preferisco rimanere indietro, morto, nel paese dei moabiti, piuttosto che voler attraversare il Giordano senza di te! Tu hai annunciato la verità: il popolo troverà là un paese del mondo, che non gli apparterrà. Tante volte sarà guidato qua e là, quante volte contenderà contro il suo Supremo, finché la Sua Grazia si esaurirà completamente! – Ora guarda: lo scettro rimane puro nella mia mano!”

26. Gli uomini sospirano con sollievo, i loro sguardi si rivolgono a Mosè. Tuttavia il suo volto sembra essere come velato. Potente sta il profeta di Dio al posto suo. Seri i suoi occhi passano su tutti. Non è come uno che si chiude in sé? E là un secondo? Mosè si leva ancora più in alto e dice:

27. “Bene! Farò portare uno da Gad”. Troppo quieta suona la parola, da non lasciar riconoscere quale giusta ira vi sia nel dissidio tra la misericordia e la molto grande afflizione. Gli sguardi speranzosi or ora sollevati si abbassano nuovamente. Le cose non sembrano andar bene, anche se Eljasaf è innocente. “Bene”, ripete Mosè, stranamente rafforzato, e continua nel suo discorso:

28. “Dovevate andare in opposizione degli amorrei, i quali avevano commesso sacrilegi contro il Signore. Ma voi principi non siete andati e vi siete uniti al popolo, dicendo a me: ‘Dodici uomini non potrebbero opporsi a centomila!’. Voi anziani avete taciuto, siete rimasti lontani dal popolo. Ho trattenuto il giudice superiore Nun e Eleasar, Giosuè e Ithamar, che da soli volevano assalire il campo, affinché l’odio non ricadesse su di loro, ma solo su di me! Fu facile per me sopportare la minaccia del popolo; ma il SIGNORE mi rimproverò a causa della vostra durezza.

29. Quando mai uno di voi s’è levato per sostenermi e dire: ‘Signore, Tu, Santo su Israele, sei in collera ingiustamente con il Tuo servitore. Perché nessuno è tanto fedele quanto lui, fedele verso di Te e fedele verso tutto il popolo!’. – Talvolta mi veniva il pensiero, quando stavo in terra davanti al Santo e sopportavo la Parola iraconda: nessuno di voi mi dava ragione!”

30. Di nuovo Mosè tace. Deve attingere nuove forze dal suo cuore, forze che Dio non gli dona, perché anche lui deve adempiere il suo ‘dovere’. Con questo discorso, non fa veramente i conti con DIO? Nell’interiore, parla il suo alto spirito, il portatore dell’Ordine, Uraniel: ‘Signore, perdona, se con Te disputo così come uomo. Ma Tu mi addossi fardelli che sorgono dall’animo rigido del popolo contro di Te. È giusto sopportare questo e non risparmiarmi?’.

31. Allora lo avvolge un soave sussurro: ‘Entra nel Mio Tabernacolo, e lo saprai!’. Quale consolazione per lui, per l’uomo di Dio! – A un tratto sta il principe Selumiel della tribù di Simeone, figlio del venerabile vecchio Zuri-Saddai. Selumiel è molto rispettato, poiché è di temperamento mansueto.

32. Egli dice: “Mosè, tu, giusto, non far adirare Dio, né te! È certamente vero: tu porti il nostro peso! Solamente, l’ira di Dio non è la tua croce; Egli ti benedice su tutte le vie. Hai parlato giustamente. Da molto tempo qualcuno avrebbe dovuto percorrere la via che tu hai percorso giornalmente per noi. Perché non hai mai aperto il tuo cuore così ampiamente come adesso, nella tua tarda ora di vita? Vedi, qualche nobile non si sarebbe certamente impaurito d’incontrare il fuoco di Dio a causa delle tue azioni. Ora lo voglio fare io! Lasciami andare davanti a te nel Tabernacolo dell’Altissimo”.

33. Quale raggio di luce colpisce l’uomo valoroso! Nei non pochi presenti si agita il desiderio di poter stare al fianco di Selumiel. Tuttavia, ora essi mandano un sospiro di sollievo per la seconda volta, e anche Mosè. Con gesto benedicente egli stende le sue mani e dice:

34. “Grazie, o principe! Il mio cuore era diventato pesante durante gli anni del pellegrinaggio; ora esso vola a Casa nella Luce. Prima però c’è qualcosa da dire. Vedete, il Signore ordinò di non andare; ma non c’era nessuno, eccetto i quattro uomini al tavolo, i quali riconobbero la Volontà di Dio. Io difesi la vostra causa, finché Dio andò via da me. Voi sapete quanto a lungo ho dovuto cercarLo nel Suo Tabernacolo, prima che si facesse trovare di nuovo.

35. Abbiamo circondato il monte Seir, il luogo di dimora dei figli di Esaù. Colma di Grazia era la via. Abbiamo preso la regione di AR per bontà di Dio, e a Hesbon abbiamo battuto il re, perché egli, nonostante l’oro, non ci aveva dato né bevanda né cibo. Come ringraziavamo il Signore per ogni benedizione che Egli ci dava? Ancora lontani, vi dividevate nella lotta il paese del Giordano. Ognuno voleva conquistarsi la parte migliore, per diventare ricchi come principi, insieme alla tribù. Vi ho mostrato il ‘Dito di Dio’; ma voi mi avete oppresso duramente, finché ho portato il desiderio all’Altissimo, come se fosse stato il mio. Vi ho alleggerito, e Dio lo sapeva!

36. Nonostante ciò, nell’Ira Egli mise la colpa su di me, e disse: ‘Non Me ne parlare più! È abbastanza la Grazia che il popolo, ingrato, riceve’. Quello che ancora mi disse, lo rivelerò in quest’ora assai grave, cioè: ‘Io non vedrò il Giordano, dovrò rimanere nel paese dei moabiti, e nessuno troverà la mia fossa!’.

37. Vi ho insegnato la via dell’Ordine proveniente dal santo Comandamento di Dio. Israele doveva essere per tutti gli uomini un buon modello di vita, il JESURUN! Ma se rimarrete sul sentiero del continuo borbottare, allora perderete il Nome celeste di Giacobbe: ‘ISRAELE!’. Un giorno si ricomprerà il nome, ma non si possiederà dinanzi al Signore! Perciò, principi e anziani, pensate al Sinai! E quando Giosuè diventerà la guida”, Mosè posa la mano sinistra sul suo capo, “allora siate per lui i sostegni, ciò che non siete stati per me. – Tuttavia vi ringrazio per tutta la fedeltà che avete dimostrato al Signore.

38. Ciò che EGLI ha ricevuto da voi, era cibo del mio spirito; ciò che voi avete rifiutato al Santo, era il tempo di digiuno della mia anima. Ma siate consolati: sulla Terra, come nel Regno degli spiriti, mi farò sempre garante per voi, affinché dalla Mano suprema vi venga solo benedizione. Ora però, Abeldan, va’ a chiamare i miei mori, perché i figli di Gad devono essere aiutati davanti al Santo. Dopo, tu, principe Selumiel, potrai precedermi nel Tabernacolo”.

39. L’austera verità di Mosè apre la piega di ogni cuore, tanto che ci si deve vergognare. Come si potrà sussistere davanti a DIO? Il silenzio grava nella tenda. Nulla c’è da imbiancare. Mosè scopre – come nessuno – tutte le manchevolezze; ma davanti al Signore le copre con il suo stesso cuore, pure come nessuno! Egli prende il peso sul suo collo, quando si piega per tutti nella resa dei conti di Dio.

40. Entrano i mori. L’ordine per loro, è: “Sulla strada principale sud-est, lungo il bordo esterno del sesto anello, andate nella tenda gialla e dite: Kahathael, il SIGNORE ti chiama da Mosè, Suo servitore! – E corri, affinché il fuoco di Dio non bruci i tuoi calcagni’. I mori corrono. Alcuni superiori guardano là, spaventati. Kahathael …? Da dove sa, Mosè, che…

 

[indice]

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Cap. 2

Kahathael è arrestato, mentre dei serpenti animici infuocati lo controllano

Altri quattro principi traditori

Il giudizio di Mosè, che sa tutto

Il coraggioso fanciullo Sanhus

1. L’ordine è eseguito. I mori vedono molte più cose di quanto Israele sospetti. Ed essi sono sinceri come l’oro. Stanno immobili, quando Kahathael, scuotendosi il primo terribile turbamento che l’ordine ha provocato, osa comandar loro: “Andate, io seguirò!”. Essi sentono il desiderio per la fuga come se lo vedessero nella ‘seconda vista’. – Uno di loro risponde con il gesto calmo di un fidato servitore: “Kahathael, a noi è stato ordinato di accompagnarti in sicurezza. È meglio che non scappi. Tu lo sai, quanto sono lunghe le braccia del tuo Dio”. Nonostante il colore bronzeo della sua pelle, l’uomo di Gad diventa pallido come un morto. Un tremore scorre sul suo corpo.

2. “Va!”, mormora lui, “Io…, vengo!”. Mute stanno le guardie. – Sua moglie Isora si attacca singhiozzando al collo del suo uomo: “Sei perduto! Tua moglie, i tuoi figli, l’intera tribù! Ahimè, che cosa hai fatto?”. – “Nulla!”. Digrignando i denti, Kahathael allontana lei e i figli piangenti. Mancava ancora che questi gli diventassero una catena. Il figlio maggiore, un giovanotto intelligente e splendido di tredici anni, si mette al fianco del padre ed esclama:

3. “Io vengo con te, padre, non ti lascerò solo! Perché non credo che tu commetta mai un’ingiustizia. Il figlio deve portare insieme il carico del padre, per renderglielo leggero”. Non le lacrime dei piccoli, non l’ahimè di Isora, commuovono il cuore di Kahathael, solo la fede innocente del bravo giovane è il legame del sangue. Accarezzando i morbidi capelli del ragazzo, egli dice frettolosamente:

4. “Sanhus, non puoi venire; tu non hai ancora il permesso di accedere al tavolo del giudice. Ma io…”. Nell’angolo della tenda fruscia qualcosa. Timoroso, si guarda intorno. Piccole vipere di color fuoco serpeggiano alte. Con violenza egli reprime un grido, e barcollando va fuori dalla tenda.

5. Davanti all’ingresso si muovono molte serpi infuocate, dando spazio solo verso l’interno del campo. I mori vi passano sopra. Allora Kahathael manda un sospiro di sollievo. Aha, solo un’immagine! Egli conosce perfettamente il campo. Non dovrebbe essergli possibile la fuga? In un recinto dei kral lì vicino, ha i suoi fedeli amici. Poi, di notte, la fuga su un veloce corridore del deserto[6]. I suoi occhi acuti passano velocissimi qui e là. Ecco – la grande tenda doppia; Ehubia è anche uno che … Un salto. Ehubia, che è per l’appunto presente, chiude rapidamente l’ingresso con un gancetto di ferro. I mori non prendono delle disposizioni per inseguire Kahathael. Questi si volterà più velocemente di come si sia dato alla fuga.

6. Quando Ehubia vuole portare l’inseguito all’uscita, che conduce direttamente al grande recinto degli animali da traino e da cavalcatura che egli cura, questo è effettivamente pieno di serpenti molto velenosi che si stiracchiano al caldo sole mattutino. Come sono arrivati nel campo? Ehubia emette un potente grido, perché i mucchi di vermi si precipitano su di lui. Kahathael, vinto, crolla su uno sgabello.

7. “È finita! Il Signore è contro di me!”. – Quando Ehubia, il capo dei congiurati, vede che i serpenti rimangono fuori, in lui si agita nuova ostinazione. “Non è ancora finita! Una volta eliminato Mosè, il popolo troverà la pace. Occuperemo Canaan quando ci farà comodo, e non come vuole Mosè. Egli tormenta il popolo, sulle sponde del Nilo ha imparato la magia. Ciò che, per così dire, ‘fa il Dio d’Israele’, è sua magia. Stronchiamo il suo potere e vedrai: egli morirà come ognuno di noi!

8. Va’ da lui! Io nel frattempo emetterò il mio parere; e non solo Gad sta dietro di noi. Più della metà d’Israele attende la scintilla! Devo uccidere i serpenti, affinché non entrino nel recinto dei kral. Questo sarebbe terribile!”. Una vigorosa stretta di mano. Ehubia rimuove le chiusure della tenda e Kahathael sguscia fuori, nello splendore di un giorno bollente. Come del tutto naturale, i mori lo prendono nel mezzo. A destra, a sinistra e dietro di loro strisciano di nuovo le vipere di fuoco. Il cuore del ribelle s’inalbera duramente. “Ecco, …ora, …davvero!”. Una volta si gira, ma non vede suo figlio che segue da lontano; all’opposto, vede che molti uomini si assembrano. Pochi gli fanno un segno. O sono timorosi, o attendono – il che è giusto – il segnale luminoso di Ehubia.

9. Congiurare contro il potente Mosè, alcuni lo definiscono: osare molto. Questi appartengono per lo più alla tribù di Naftali e Ruben, mentre Issacar, Zabulon, Simeone, Beniamino e Aser rimangono i fedeli. I primi, Kahathael lo sa troppo bene, appendono rapidamente il mantello secondo come gira il vento. Giuda, Efraim, Manasse, Dan e Gad, invece vogliono rovesciare Mosè.

10. I mori aprono l’ingresso della tenda del consiglio. Un istante, e il piede dell’uomo si arresta. Poi solleva il suo capo, più in alto di come può tenerlo adesso. Con saluto composto rimane dietro i banchi, aspettando, se e come sarà chiamato. Nel campo, le parti si stanno di fronte, ben tese, gli appendi mantello secondo come gira il vento, sono tra loro. Accanto ci sono molte donne e la gioventù. Solo i parenti dei principi, anziani e israeliti ragionevoli, rimangono lontani dalla rivolta.

*

11. Davanti all’ingresso, Sanhus respira con affanno: “Fatemi entrare, voglio andare da mio padre!”, Sanhus tocca un moro. – “Tu non puoi”, dice costui gentilmente. Il ragazzo gli fa pena. “Se tuo padre è innocente, allora l’uomo del SIGNORE lo saprà e lo risparmierà”. – “Sì, egli lo farà! Io stimo Mosè. Vorrei essere volentieri suo servitore”. I puri occhi del ragazzo sfavillano. Diventando di nuovo angoscioso, Sanhus domanda: “E se…, se mio padre…, fosse contro Mosè?”

12. Ecco che esce Abeldan: “Che succede qui? Com’è arrivato il ragazzo fino alla tenda?”. La domanda suona irritata perché egli doveva capire che cosa disturbava. Quando sente che è il figlio di Kahathael che ha seguito di nascosto il padre, anche lui, pieno di compassione, passa la mano sui suoi capelli: “Va’ a casa, Sanhus, resta con la madre. Dio è buono! Se tuo padre si converte, allora verrà di nuovo a lui la Grazia di Dio, affinché nulla avvenga, di cui tu abbia da piangere”.

13. “Io voglio entrare!”. Questa non è l’ostinazione di un ragazzo, è il grido di soccorso di un figlio che, all’improvviso, sospetta le vie oscure di suo padre. L’anziano comprende l’afflizione, ma dalla guardia fa portare Sanhus da sua madre. Ciò che accade al tavolo da giudice di Mosè, è nulla per un fedele figlio che crede nell’innocenza di suo padre. Abeldan arriva giusto in tempo, quando Kahathael passa attraverso le file dopo essersi fatto chiamare tre volte. Il grande servo di Dio prende lentamente in mano lo scettro bianco; guarda nel libro, come se ci fosse scritto ciò che sarebbe ora da dire. Nello spazio chiaramente illuminato dalla luce spiovente dall’alto, regna un silenzio tombale. Mosè rompe il silenzio:

14. “Kahathael! Non ti ho ordinato io di venire, anche se muovi lagnanza contro di me, ma DIO, il quale dimora fuori nel Suo santo Tabernacolo, invece di stare da tempo in mezzo a tutti noi. E non devi giustificarti davanti a me, no! …davanti al volto di DIO, al Quale tu non puoi mentire! Nemmeno la mia mano si leva contro di te: è la Mano suprema, alla quale mai potrai opporti!

15. “Taci!”, ordina Mosè, quando Kahathael vuole insorgere con un duro scossone della testa. La grave voce di Mosè brucia di calore pieno di compassione. “Aspetta finché il Signore ti permetterà la parola. Sappi: nulla mi è nascosto! Oppure pensi che io non abbia previsto ciò che ha impedito la tua fuga? Ehubia cerca invano i serpenti! Tu sorridi, mentre il tuo cuore trema! Oh, sii certo: il DIO, il cui muro di nuvole infuocate non è un’allucinazione, arresta facilmente il passo del traditore secondo la Sua grandiosa Volontà!”

16. Kahathael, sprizzando d’ira, esclama indomito: “Con quale diritto mi chiami traditore? Io voglio il meglio per il popolo! Di là c’è il paese, traboccante di latte e miele, dove i grappoli d’uva crescono alti come uomini, dove c’è carne in abbondanza. L’avremmo potuto conquistare da lungo tempo. Da quarant’anni ci guidi errando in lungo e in largo, in montagne spoglie, in deserti solitari! Nelle tombe diaboliche dell’Egitto hai imparato la magia. Se arriviamo da un popolo, tu ordini: non lo attaccate; oppure: lo dovete soggiogare! Allora c’è guerra, incendio e sangue. E cosa ne ha Israele? Nulla, eccetto che tutti i popoli ci odiano e si riuniscono contro di noi. Se soccombiamo, allora la tua sentenza è: ‘Israele non ha obbedito, il Signore ha tolto la Sua Grazia!’. Così vanno le cose dall’uscita dall’Egitto. Là noi mangiavamo, avevamo il nostro lavoro, i nostri casolari e …”.

17. “Ancora una volta ti ordino di tacere, Kahathael! Il SIGNORE ti interrogherà! Se ti è avversa la mia bocca, allora dovrà parlare con te il giudice superiore. Metto volentieri lo scettro bianco nella sua mano”. Contro di questo, molti protestano. – Kahathael scoppia in una risata stridula: “Come se non fosse la stessa cosa, chi parla di questa magia!”. – A questo punto Eleasar stende imperante la sua mano: “Qui regna la Parola del santo Dio, e nessuna magia! Uomo di Gad, tu peggiori la tua causa, se esprimi accuse che non sono vere”. Il rimproverato fa un movimento con le spalle, ma intanto preferisce tacere.

18. Mosè solleva in alto lo scettro da giudice: “Ciò che dici, è pura menzogna! Tu non eri ancora nato, quando Israele uscì dall’Egitto. Sì, il faraone mi ha fatto educare ed io ho imparato cose di cui tu difficilmente potrai sognare qualcosa. La magia è un inutile operare che il Sole dissolve. Hai visto nel giorno chiaro, i serpenti provenienti dalla mano iraconda di Dio, e non c’ero io per darti l’illusione.

19. Dell’Egitto ti sia rivelato qualcosa a te ancora sconosciuto: tuo padre, il pio Jusamon, imparentato con la casa principesca di Hur, era quel poveretto a causa del quale percossi l’egiziano. Il suo gemere mi aveva frantumato il cuore. Io ho vendicato tutte le lacrime, tutte le sofferenze e il sangue che Israele aveva sacrificato al paese del Nilo. Il tuo povero padre si accasciò per la tortura. Tua madre ti portava proprio nel suo grembo, prima che lui morisse. Io l’ho portata nel mio carro insieme ai suoi figli, nel mio carro sei venuto al mondo. Sei stato saziato da me e ti ho educato. Quando sei stato uomo maturo, ti ho messo volentieri al vertice; tu mi eri cresciuto nel cuore.

20. Ora, naturalmente”, la chiara voce suona addolorata, “il tuo odio infierisce contro di me, e il tuo amore è morto. Il principe Hur ti confermerà la mia parola, egli ti attende in ogni caso nella sua tenda. Ma questo, più tardi. – In Gad hai versato un olio ardente; e ancora oggi piangerai amaramente, perché non ti riuscirà a spegnerlo. Non obiettare! Il tuo scritto segreto – che hai temuto davanti al mormorio – mi è stato portato. Qui, il tuo proclama al popolo!”. Giosuè legge ad alta voce il testo della tavoletta, di cui all’infuori del principe Eljasaf, solo quattro dell’assemblea ne sapevano qualcosa, e che Mosè conosce. – Come punto dalla tarantola, Kahathael salta su di scatto. Le sue mani si aggrappano al pesante panno blu del tavolo da giudice. “Chi”, dice con respiro affannoso, “ti ha portato lo scritto?”. Gli uomini, che si sanno sotto la custodia di Dio, non temono l’imprevedibile furia che zampilla dagli occhi di Kahathael.

21. “Il tuo principe, mi ha portato la tavoletta”, risponde Mosè con voce calma, ammonendo alla prudenza. Il ribelle non vi bada. Voltandosi rapidamente, sta davanti ad Eljasaf, prima che questi se ne renda conto. Gli serra le mani al collo, tanto che questi si accascia agonizzante. Ma già dei pugni d’acciaio, ai quali nemmeno un Kahathael può resistere, lo strappano dalla sua vittima e tengono strette le sue braccia come in una morsa.

22. I mori: “Signore, che cosa dobbiamo fare con lui?”. – Mosè deve raccogliersi. Il suo sangue, ben purificato dallo spirito, divampa. Un tentato omicidio davanti al santo tribunale di Dio? Questo non è mai accaduto. “Fermatelo qui!”, ordina. “Tenetelo stretto! Abeldan!”, egli è quell’anziano che ha parlato con Sanhus. “Chiama il grande principe Hur da me; e può comandare i suoi ittiti davanti alla nostra tenda”. – L’ordine è eseguito. L’ira di Kahathael non conosce limiti. Stringe i pugni, in verità, senza poterli alzare, e grida: “Eljasaf! Mia è la vendetta! Davanti ai miei occhi tu non sei un principe! Tu, tra…”. – Dagli occhi di Giosuè, uno sguardo stranamente penetrante e sconosciuto, colpisce il furibondo, che scaccia la parola blasfema:

23. “Metti un freno alla tua lingua, e di più al tuo sangue, perché volevi commettere un assassinio regale dinanzi agli occhi di Dio. La Sua bilancia non ha ancora deciso su di te!”. Il trambusto si placa. Giosuè…? Perché Dio non parla attraverso Mosè? Ecco che alcuni vedono una luce dietro Giosuè, come una Mano. Dovrà diventare Giosuè, la guida del popolo? E proprio adesso, nell’ora più grave del destino che Israele stesso si è provocato nel deserto…?

24. Eljasaf si reca al tavolo da giudice, sostenuto da due anziani. La voce suona rauca, quando egli, toccando lo scettro bianco, dice: “Ora ho il diritto di pretendere. Perciò esprimo questa parola davanti agli orecchi del congiurato: io mi attengo saldamente al Mio Dio! Egli ha dato anche a me la Sua Luce nel cuore! Allora so che il Santo non poteva inviare dal Suo sommo Cielo, nessuno di più fedele, al popolo infelice, che quello spirito che qui porta il nome di MOSE’. Egli fu il prescelto a condurre Israele nella terra promessa, perché – se vi avesse posto per primo il suo piede – avrebbe potuto portare il popolo, dopo la fine benedetta del suo tempo terreno, anche nell’eterna Patria.

25. Il Santo ha certamente caricato fino ad ora il continuo borbottare del popolo come una croce su Mosè; ma un giorno Egli farà i conti con il popolo! E la resa dei conti sarà terribilmente grave! Quando io, e certamente tutti, abbiamo udito la parola che poc’anzi è stata espressa, cioè che Dio non farà andare oltre il Giordano insieme a noi il nostro Mosè, io ho visto già il fallimento del popolo! Questo, tanto di più, perché dal paese spiritualmente non benedetto, non sorgerà nessun JESURUN, nemmeno un ISRAELE, che non tolleri lALTISSIMO nelle sue mura!

26. Perciò io dico, come Selumiel: rimango indietro morto, piuttosto che Mosè non debba vedere il Giordano! – Voi, uomini d’Israele”, Eljasaf si rivolge all’assemblea proprio nel momento in cui il principe Hur compare all’ingresso, e dietro alla cortina c’è una ressa, “decidete ora: ‘Chi scambia Mosè per la ricchezza del Giordano?’. Parlate! DIO lo deve sentire!”. Nuovamente regna un silenzio mortale, perfino l’avvicinarsi di Hur non causa nessun fragore.

27. Allora Kahathael grida furibondo: “Da quando, sono trattate due cose davanti al giudice? È stato Mosè a prometterci Canaan, oppure il Dio dei nostri padri, al Quale obbedisco anch’io, e per il cui popolo ho combattuto? Chi vuole ancora credere che il piede di Mosè porti benedizione al paese, dopo che egli ha condotto nello smarrimento – per la durata di vita di un uomo – il seme eletto di Abraham? Io, in ogni caso…”.

28. “Tu, Kahathael, hai infranto ogni diritto di dare il tuo parere decisivo. Metti il santo Nome del Signore solo davanti alla tua causa, per vincere. Hai disprezzato il secondo Comandamento di base. Su di te, decide ancora solo la voce di Dio!”. Il principe Hur sta ritto nobilmente davanti al congiurato. In generale, Hur non è solo temuto come Mosè e rispettato come Selumiel, ma è amato come il sacerdote Ithamar. E se ora Kahathael non riesce a provare né l’uno né l’altro sentimento, le sue mani ancora serrate si aprono comunque, e pendono giù senza forza.

29. “Inoltre”, continua Hur, “la richiesta del principe Eljasaf è giustificata, perché tu, Kahathael, e con te ancora molti, avete perfino levato la mano assassina contro Mosè!”. Questa nuova accusa fa barcollare Kahathael nelle ginocchia. Come fa il principe Hur a sapere tutto questo?

30. “Sì, DIO, che vede tutto, ha rivelato il tuo oltraggio, e questo, attraverso un fanciullo!”. Hur tace nuovamente, per attendere l’effetto delle sue parole. Gli anziani balzano in piedi inorriditi, schierandosi contro ogni ordine intorno ai giudici. Anche i principi accorrono. Mosè vede lo sfavillare di due paia di occhi, ma non interviene. Dio vuole che non solo lui debba trascinare il peso. Eleasar, Nun, Giosuè e Ithamar, lo circondano.

31. “Chi me lo vuole dimostrare?”, borbotta Kahathael. – Paghiel, il principe di Aser, sta accanto ad Hur. “Io! Nel deserto”, dice lui, “dove minacciano molti pericoli e solo la Mano dell’Onnipotenza significa per noi, protezione e scudo! Non si sobilla, e nemmeno si alza mano per l’assassinio, per un doppio assassinio, anzi, …per un assassinio su centomila! Poiché un delitto su Mosè distruggerebbe Israele; come una mano levata contro il Santo, suggellerebbe il naufragio del popolo. Tu lo dovresti sapere! Anch’io lo sostengo: io stesso non voglio mettere il mio piede nel paese dato da Dio, senza Mosè!”

32. I discorsi s’infiammano, le mani volano in alto. “Dio, il Santo d’Israele, sta sopra di noi! Ma qui davanti a noi c’è il Suo inviato: Mosè, il Suo grande servitore!”. – Il giudice superiore Nun ordina che si faccia silenzio: “Vero è il vostro parlare, uomini, e il vostro verdetto vale dinanzi al Signore. Soltanto, mancano due mani, e due si sono abbassate prima che il giuramento fosse pronunciato!”. Ci si esamina a vicenda. Anche questa sala nasconde dei traditori?

33. “Principe Nahesson di Giuda, principe Gamliel di Manasse, perché voi abbassate le mani, prima che il giuramento diventi un diritto?”. – Il capo, bianco come la neve, rispettoso, esige una risposta, che anche segue, sebbene in modo pacato. “Noi riteniamo del tutto escluso un attentato a Mosè, perciò neanche giuriamo. Il Signore vieta un giuramento, eccetto che in cose sante”.

34. “Se questo rende più pesante il vostro cuore”, dice il sacerdote Ithamar, “allora, nel Nome del nostro Dio, siete da liberare. Egli stesso ha giurato nel proprio Nome, quando promise la salvezza ad Abraham. Nella difficoltà, la via del deserto era molto ricca; più ricca, però, venne su di noi la Grazia immeritata di Dio, e la Sua Luce! Poiché un grande, come era Abraham, ce l’ha mandato il Signore con Mosè! Amiamo e serviamo Dio, disprezzando il Suo servitore? Voi stessi lo sapete!

35. In quest’ora del destino il giuramento è una promessa, come il Giuramento di Dio fu una santa promessa! Il secondo Comandamento[7], nel quale l’abuso del Suo santo Nome significa un falso giuramento, con ciò non è violato! – Padre Nun, però, interrogherà ancora gli altri”.

36. “Voi principi Elisama di Efraim e Ahi-Eser di Dan, vi chiamo davanti al tavolo da giudice di Dio! Venite avanti!”. Ancor mai si è sentita così dura la voce di Nun. Tutti gli occhi sono rivolti a lui, eccetto gli occhi di quelli i cui cuori sono impuri. – I chiamati si fanno avanti, in apparenza, impavidi, interiormente con segreta paura. “Hai ordinato, giudice superiore Nun; che cosa pretendi da noi?”

37. “Il vostro discorso è da biasimare! A questo tavolo non sta l’uomo, non parla e guida la volontà dell’uomo, ma DIO soltanto! Non io vi chiamo, ma stando nell’incarico di Dio, domando: non volevate voi, alzare le vostre mani per sostenere la giusta causa, che è la causa del nostro DIO?”. Ahi-Eser si avvicina. Egli parla quietamente, e solo nel suo sguardo si riflette un fervore trattenuto.

38. “Il Signore ci ordinò di scegliere città libere, perché lì fuggisse chi doveva temere per la sua vita. Erano già stabilite Bezer nel deserto per Ruben, Golan in Basan per Manasse, e Ramoth in Gilead per Gad. L’accusato si sentiva minacciato. Gli fu impedita la fuga. Così, secondo l’uso e il costume, egli deva avere dei difensori, e per questo, grazie alla dignità principesca, ci offriamo noi. Indipendente da ciò che è il mio sentimento personale e la mia convinzione”.

39. “La vostra auto elezione – come difensori – sia riconosciuta a favore dell’imputato, anche se si convocano i difensori secondo diritto e consuetudine attraverso un’elezione. State a destra di Kahathael; voi altri sedetevi ai vostri posti. Principe Hur, siete pregato di deporre! Prima però, possa agire Mosè, affinché avvenga qui la Volontà di Dio!”. Ciò è eseguito. Nahesson e Gamliel si siedono in modo che le loro facce rimangano in ombra. Questo e altro percepisce Mosè. Egli si rivolge ai difensori, porge loro lo scettro bianco, che essi prendono solo di sfuggita, e non saldamente come ordinato, e dice:

40. “La vostra auto elezione è approvata in quest’unico caso! Voi vi poggiate su città libere, che Israele non possiede ancora, in quello spazio che vi dividete tra voi come un piccione sul tetto. Io vi domando: ‘Non abbiamo tra di noi, il santo Tabernacolo del Signore nostro, come supremo Luogo libero? C’e bisogno di luoghi stranieri, che solo Dio può ripulire? Le solide mura degli edifici terreni, non sono più fragili del santo Tabernacolo che il Creatore ci ha dato?’. Ah, voi lo comprendete, anche se siete già molto in imbarazzo. Ma la vostra meta è solo il Giordano, quale puro possesso terreno. Perciò vi siete alleati con Gad, e Kahathael deve soppiantare il principe Eljasaf.

41. Un giorno egli dovrà occupare il suo posto, non appena risuonerà la chiamata del Signore per Eljasaf. Non prima! Ma voi non avete atteso questo tempo; l’ha rivelato l’atteggiamento indomabile di Kahathael. Che cosa volete difendere, poiché voi stessi avete bisogno di difesa? Impallidite? Non avete pensato che io lo avrei saputo? Non sentite le grida nel campo? Si colpiscono come bestie, e sono in ogni caso, seme di un uomo! Di tutto il sangue che oggi scorre, dovete voi, Elisama, Ahi-Eser, Nahesson e Gamliel, far fronte davanti a DIO, perché avete appoggiato Kahathael ed Ehubia, i capi dell’insurrezione! Ci consulteremo su quel che dovrà accadere con voi, perché non avete guidato, ma istigato.

42. Tuttavia, ringrazio i fedeli. Voi vi siete messi dalla mia parte, quindi Dio si metterà al vostro posto. Per amore di questa fedeltà, dovrà regnare la Grazia. Il Signore emetterà la sentenza, come darà anche la punizione. Egli preferirebbe benedire mille volte, prima di punire quattro volte! Quindi vogliamo …”, Mosè viene interrotto. Come un furetto, un fanciullo si precipita nella tenda: Sanhus! Quando egli vede suo padre prigioniero tra i mori, scoppia in lacrime. Suo padre…? Quindi, è vero, …come ha sentito? È fuori di sé. Il suo piano, che egli si preparava più rapidamente del dibattimento che gli aveva lasciato tempo per questo, rotola rapidamente.

43. Abeldan ad un cenno di Mosè porta avanti Sanhus. Kahathael barcolla. Suo figlio, …il suo splendido Sanhus… Che cosa è successo? Mosè ordina: “Portate Kahathael nella tenda dell’Ordine, finché non sapremo quel che vuole il ragazzo”. – “No! Mio padre, …egli è innocente, …io”. Il grande principe Hur sta già accanto all’agitato fanciullo.

44. “Sta’ tranquillo, caro giovane. Io so tutto, e volevo proprio dirlo”. Oh, quanto affabilmente può parlare il grande principe. Piena di fiducia, la piccola, ardente mano, si aggrappa alla grande. Sanhus non sospetta quel che poteva sapere Hur, le sue spie l’hanno già informato. Con sguardo indescrivibile Kahathael guarda il suo ragazzo. È portato via, spezzato nel corpo e nell’anima.

45. “Ebbene?”, Mosè non parla così affabilmente, ma gli amici sanno che il suo cuore piange la maggior parte delle lacrime per questa insurrezione, uccisione, turbamento e, …per questo fanciullo. “Non temere; dicci il tuo nome!”. – “Io, …io mi chiamo Sanhus, e sono suo figlio. Signore tu mi conosci?”. Sanhus guarda al padre con timore.

46. “Come ti sei infiltrato, nonostante i guardiani?”. – “Sono corso in mezzo a loro; non mi potevano prendere, io ero più veloce”. Negli occhi del ragazzo lampeggia un po’ d’orgoglio. Per quanto le cose siano serie, qualche anziano sorride sotto i baffi. Mosè rimane severo; solo il suo cuore accarezza il fanciullo; ‘Proprio come suo padre, quando era ancora il buon ragazzo’.

47. “Non sei di certo venuto solo per stare qui. Che cosa vuoi, dunque?”. – Sanhus impazzisce per Mosè, e lo stima comunque. Non lo sente il grande uomo? Il cuore gli batte all’impazzata, ma …deve salvare suo padre, anche se ha fatto qualcosa d’ingiusto. Questo si potrà di nuovo riparare. Insicuro ma svelto, come qualcosa imparato a memoria, guardando Mosè in maniera perseverante, ora egli dice:

48. “Ho seguito mio padre e l’ho visto scomparire nella tenda di Ehubia, mio zio. Prima ho pensato che egli volesse solo dirgli qualcosa, perché i mori rimanevano davanti alla tenda. È anche uscito presto; ma, a quanto notai, non così sicuro come vi era entrato. Già allora volevo venire da Mosè, ma Abeldan mi fece portare dalla madre. A casa piangevano, e la madre non badava a me. Di nuovo sono uscito di soppiatto per chiedere allo zio che cosa ci fosse con il padre. Allora ho visto uscire dalla tenda due uomini con il capo abbassato, e due altri strisciavano dal grande recinto dei kral. Questo mi è sembrato grave. Mi sono avvicinato furtivamente e mi sono nascosto sotto un lembo di un telone che pendeva dal palo. Ho visto e sentito tutto bene”. Fin qui Sanhus ha detto la verità. Ora comincia la fiaba del suo amore, tessuta da fatti inventati, che erroneamente, però, si chiama ‘bugia’.

49. “Quando gli uomini avevano a lungo bisbigliato con Ehubia, ho notato che,… che volevano fare qualcosa. Ehubia ha detto: ‘Non possiamo farci niente, Kahathael deve rimetterci. Uno deve essere in ogni caso, sempre la pecora nera, altrimenti non si va avanti. Forse si potrà salvarlo, se Mosè – già oggi – sarà ucciso!’.”. Le ultime parole, per così dire, strappate, non si riescono quasi a sentire. Il fanciullo trema in tutto il corpo. Tutti hanno una gran pena, ma lo si lascia finire nel tessere il suo filo.

50. “Allora sono saltato fuori. Gli uomini, del tutto spaventati, volevano subito percuotermi. Ho rivelato il posto da dove origliavo, posto che poteva essere utilizzato anche da qualunque altra persona grande. Imprecando hanno chiuso l’apertura. Ehubia mi ha chiesto che cosa avessi sentito. Io ho detto: ‘Tutto!’, A questo punto sono diventati molto cattivi. Ho domandato se …se …Mosè … se mio padre poteva essere salvato. Hanno risposto di sì. Allora ho detto: ‘Lo voglio fare io!’.”. Il fanciullo è pallido come un morto. Combatte valorosamente per suo padre. Ma, …non perde egli, in questo modo, tutto l’amore del ‘suo’ Mosè?

51. Improvvisamente si precipita avanti, dietro il tavolo da giudice, inseguito dagli uomini che gridano, i quali, credono che egli sia abbastanza indomito da compiere l’azione davanti agli occhi di tutti. Persino Nun, Eleasar e Giosuè s’intromettono. Solo Mosè, Ithamar e Hur vedono subito quel che vuole il fanciullo. Sanhus sta ai piedi di Mosè. Le dita spiegate tentano invano di aggrapparsi. Egli grida ripetendo: “Mosè, Mosè, perdona! E guardati bene! Questa notte, … Saccar e Riboal del grande kral…”, quest’ultima cosa è vera. Uno svenimento liberatorio toglie ogni pena dal piccolo cuore tormentato.

52. Mosè si è già chinato. Il centoventenne solleva il fedele fanciullo al suo petto. Ma il suo volto! Nessuno lo dimenticherà mai, come egli, con lacrime ghiacciate nello sguardo irrigidito, porta il fanciullo nella tenda, dove siede il padre prigioniero. I principi Hur, Paghiel, Giosuè e l’anziano Abeldan, lo seguono.

53. Quando Kahathael, finora meditando cupamente, vede suo figlio come morto stare nelle braccia di Mosè, prorompe in lui un rantolo come presso un animale in agonia. E poi: “Che cosa avete fatto con mio figlio? Sanhus, Sanhus …”. Egli scuote il corpo esamine, lo prende sulle sue braccia diventate deboli e, ancora una volta, dice lievemente: “Sanhus, bambino mio!”. A questo punto, anche dagli occhi del grande servitore di Dio colano giù le lacrime. Kahathael lo vede, e il suo cuore si affligge. Deve essere successo qualcosa di terribile. Sente il tumulto nel campo, il maligno strepitio stridulo di donne, l’urlio selvaggio dei giovani e l’incollerita classe dei rivoltosi.

54. “Non ti preoccupare”. Mai risuonò così dolce come adesso la voce di Mosè. “Sanhus non è morto; egli dorme senza la sua anima. Presto si risveglierà. Ma, …forse si ammalerà. E questo, Kahathael, ora non voglio farti del male inutilmente, è colpa tua. Il tuo valoroso figlio voleva prendere su di sé il tuo crimine; si è accusato lui, lui che mi ama come tu mi hai amato da ragazzo. Sanhus è un vero figlio di suo padre, che fino a poco tempo fa è stato fedele e bravo, e nel quale io potevo pienamente confidare.

55. Ciò che tu tramavi contro di me, lo volevano fare ora al tuo posto, Ehubia e i suoi servitori. Sanhus l’ha confessato nell’inconcepibile tormento della sua coscienza, quando già lo colse il sonno eterno. Per quest’attentato non disputo con te, per amor del tuo ragazzo. Come il SIGNORE farà i conti. …Kahathael, …sottomettiti! Poiché anche il principe Eljasaf è a tuo carico”.

56. Kahathael crolla in sé. Cinereo è il suo volto, lo sguardo spento, tuttavia le mani tremanti rivelano che in lui è in corso una tempesta. Poi, com’è stato fino a poco prima, questo passa. Che vergogna che con gli altri abbia provocato lui la rivolta. Certo, dapprima voleva il bene: guidare presto Israele oltre il Giordano. Ma anche: dapprima esploriamo i pascoli migliori, i buoni giardini, i campi fruttiferi. Tanto, loro sanno: se fosse Mosè il distributore, ognuno riceverebbe quel che è giusto, certamente in piccola misura, ma secondo il diritto di Dio. E proprio questo è diventato scomodo a qualche superiore in grado. Essi vorrebbero dividere secondo il diritto del più forte. Ma, …ora? – Egli getta un’occhiata a Sanhus che giace ancora profondamente svenuto. Hur dice a bassa voce a Mosè:

57. “Risveglialo, altrimenti la piccola anima non riuscirà più a ritornare”. – Mosè fa cenno col capo. Posa la sua mano sulla fronte pallida, sulla quale stanno grandi gocce di travagliato sudore, ed esclama: “Sanhus, torna indietro! DIO lo vuole!”. Kahathael trattiene il respiro. Ecco – un movimento – il petto si solleva, gli occhi si aprono. Estranei, impauriti essi si agitano intorno, e poi rimangono sospesi al viso del padre. Un raggio di conoscenza: “Padre, caro padre, ora sono di nuovo con te!”. Questo è troppo per il rivoltoso; egli non può più tenere Sanhus. Paghiel lo prende e lo porta nella tenda del Consiglio. L’orda è avanzata quasi a un tiro di sasso. Spade lampeggiano all’improvviso; le stanghe, con le quali si sono azzuffati, sono buttate via. La masnada contro Mosè è più grande, perché degli altri, alcuni non vanno nel campo; essi pensano alla masnada di Core[8]. E così la schiera caotica avanza sempre di più, travolgendo oggi ogni timore, che altrimenti si avrebbe davanti al centro del campo.

 

 

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Cap. 3

La sommossa si manifesta, ma Dio stesso la blocca

Mosè prega affinché l’ira di Dio si plachi

I reazionari toccati dalla lebbra di Dio, sono confinati

1. Mosè, Hur, Giosuè e Abeldan stanno ad ascoltare con l’orecchio teso. I mori rivolgono la loro massima attenzione all’ingresso della tenda; Kahathael, infatti, non leverà più una mano ingiusta. Questi, per il quale la rivolta a un tratto non vale più nulla, cade ai piedi di Mosè. “Fa’ venire su di me il castigo di Dio, l’ho meritato io!”. Mosè vuole giusto benedirlo e raccomandarlo alla Grazia di Dio, quando si precipitano dentro i principi e gli anziani. Paghiel ha portato Sanhus nel Tabernacolo della preghiera. Questo, e ancor più il santo Tabernacolo del Signore, non viene mai toccato nemmeno dalla plebe inselvatichita.

2. Non appena i superiori sono entrati – mentre i mori, sei altissimi ittiti dalla truppa d’elite di Hur, così come i giovani guerrieri, circondano la tenda e fanno scintillare minacciosamente le loro armi – la frotta arriva in gran carriera. I seguaci di Mosè devono battersi pesantemente, e trincerarsi; essi non possono prestare nessun aiuto risolutivo, come ardentemente desiderano.

3. Ehubia s’inoltra prima degli altri fino all’ingresso, accanto a lui, Riboal e Saccar. I tre si scontrano anche con gli ittiti, quando questi diventano tori troppo furiosi. La massa incalza urlando vittoria, qualcuno è già ferito; armi nei pugni. Molti sprizzano sangue, donne con vesti lacerate, che appena coprono la nudità; ragazzi immaturi che si permettono ogni violazione. In breve, …ancor mai Israele si è comportata in modo così dissoluto, come in questo ammutinamento.

4. Presso la tenda ci si scontra con i coraggiosi difensori. Subentra un improvviso silenzio, perché i guerrieri non si scagliano contro, come ci si aspettava, ma si tengono sulla difensiva. Con ciò, essi sono per il momento i superiori, nonostante siano più di duecentomila ad ammassarsi fuori a perdita d’occhio, fin oltre la quinta strada ad anello. Nondimeno, qui, la moglie di Ehubia, una bocca sempre maliziosamente avida, grida:

5. “Mosè, traditore del popolo, vieni fuori, vieni fuori da solo! Vogliamo vedere se il tuo Dio ti proteggerà da noi!”. Questo è un attentato. Molti retrocedono completamente inorriditi. Essi si aspettano che dal Cielo cada del fuoco e consumi la bocca sacrilega. Soltanto, …non accade. E quando la donna continua a brandire la sua corta mazza, s’incoraggiano di nuovo e urlano in coro: “Mosè, vieni fuori! Fuori! Vogliamo vedere quel che fa con te il Dio d’Israele!

6. Non ti ha promesso di rimanere nel paese dei moabiti? Ebbene, Lo aiuteremo volentieri, affinché si adempia la Sua Volontà! Quindi: vieni fuori, Mosè, vieni fuori!”. Più le grida diventano pesanti, meno il Cielo compie un qualche miracolo.

7. I principi e gli anziani sono armati, solo Mosè, no. Il vecchio Nun – tremando di afflizione – tiene saldo lo scettro da giudice. Giosuè ha scambiato il santo libro con una larga spada. Perfino Eleasar e Ithamar, i sacerdoti, considerano utile prendere degli scudi. Ma, come prima al fanciullo Sanhus, così è anche adesso il volto del potente servo di Dio, come pietrificato. Gli occhi…? Non sono più quelli di un uomo; essi sono sconosciuti, sono quelli di un’alta stella, scintillanti e severi nel tizzone della Santità.

8. Ehubia s’inoltra di nuovo. A un giovane israelita, che sta al centro davanti all’ingresso, egli trapassa così velocemente il corpo con il pugnale, che è inutile persino il parare fulmineo con spada e scudo. Il giovane eroe giace in una grossa pozza di sangue, …morto! La moltitudine urla selvaggiamente. I mori, in verità, hanno colmato la lacuna con un salto da tigre, e messo fuori combattimento Ehubia con le loro pesanti asce, ma i loro servitori continuano a combattere, mentre la moltitudine si ammassa come un muro intorno alla tenda, lasciando poca speranza ai difensori di salvare la vita, se non …

9. La tenda è aperta dall’interno. Esce Mosè a capo scoperto. Alla sua destra sta il gran principe Hur, portando una corta lancia in mano; alla sinistra Giosuè, con quella spada che Abramo ricevette un giorno come trofeo dal Re di Salem[9], e custodita gelosamente. Ognuno crede in questa spada. Non l’ha ancora portata nessuno! Ma solo in seconda linea essa è il segno che incute paura alla masnada. La forza è MOSÈ: il suo volto, dal quale splendono adirati gli occhi dell’ONNI-SANTO! Kahathael segue chinato, ora, un lebbroso. Dietro seguono tutti i superiori. Quelli che lo vedono, sono presi da un terrore paralizzante. Vorrebbero scappare in silenzio, ma quelli che stanno dietro spingono in avanti, urlando a squarciagola. Soltanto, …presto si diffonde l’orrore. Dove Mosè passa attraverso la via che diventa sempre più larga, segue l’adirato percuotere di Dio.

10. I falsi principi sono paralizzati nelle mani e nei piedi, molti istigatori sono colpiti dalla lebbra. Paghiel fa portare da alcuni ittiti, i principi al Tabernacolo della preghiera. Egli stesso prende Sanhus molto malato sulle sue braccia ancora forti, e lo porta a Mosè. Dove dimora il fedele servo di Dio, c’è anche l’aiuto per il fanciullo malato.

11. Mara, la moglie di Ehubia, si dà alla fuga per scampare al terribile giudizio che lei, la vera istigatrice della rivolta, ha provocato per odio contro sua sorella. Poiché non ha mai potuto perdonare che Isora giungesse alla condizione di principessa attraverso Kahathael, mentre lei, attraverso il matrimonio con Ehubia, è retrocessa dal buono stato medio, alla classe servente. Quale abisso, tra un genere di fattore e la stirpe di principi. Lei ha influenzato gli uomini, senza tradire il suo fondamento d’odio. Voleva rovesciare Kahathael, per il quale valeva per prima una cosa: uscire finalmente dal deserto! Entrare, alla fine, nel ricco paese!

12. Mara sente perfino nella schiena lo Sguardo di Dio, che le impone di fermarsi, e la fa voltare. Quando la colpisce il raggio di fuoco, lei diventa cieca, muta e sorda. Ehubia sta morendo. Saccar e Riboal, colti da un Asmodeo[10], si precipitano con grida risonanti in una tenda ardente. Non si possono salvare. Tutto Israele diventa tanto silenzioso, che il campo somiglia a una camera della morte. Solo nei recinti dei kral muggiscono animali assetati.

13. Nessuno può sfuggire, tutti sono avvinti. Questi cadono, rimangono a terra; nessuno si china per aiutarli. I lebbrosi sono cacciati via. Ci si compatta strettamente. Mosè prosegue. È una triste via, una via della giusta ira primordiale! Alla terza via circolare, egli si ferma. Non si possono quasi più contare quelli che il dito di Dio ha segnato. I più cattivi! Ora vengono i molti che erano stati trascinati: inconsapevoli, irragionevoli! Mosè leva in alto le mani e s’inginocchia. Il suo seguito fa come lui. Quando anche la masnada vuole inginocchiarsi, nessuno riesce a piegarsi, eccetto i fedeli. Nuove grida selvagge di paura! Oh, questo è il più duro segno dell’ira di Dio! Mosè invece prega:

14. “Signore, Eterno-Santo, trattieni ora la Tua mano! Sia sufficiente ciò che Tu hai preteso! Se il Tuo conto non è ancora pareggiato a causa dell’oltraggio che Israele ha commesso oggi contro di Te, guarda: sono qui io! Lascia pagare me il mancante e il resto della colpa, ma risparmia questo popolo, per amor della Tua eterna benignità!”. Un amaro pianto di Kahathael. O Mosè, gran servitore di Dio, tu vuoi portare ciò che più della metà d’Israele dovrebbe portare? Ah, quanto è diventata vera la tua parola! Il pianto del singolo trabocca sulla moltitudine. Quando quelli nascosti nelle tende sentono ora il pianto, invece del selvaggio tumulto, vengono fuori. Anche le tribù colpite si sono radunate e stanno da ambo le parti della strada principale occidentale, fino al muro del campo.

15. Il guerriero morto giace all’ombra del Tabernacolo della preghiera, coperto con un grosso telo bianco nuovo. Tre vicecomandanti dei centoquaranta guerrieri da tenda fanno la guardia. I restanti si mettono ordinatamente in file di quattro, e marciano, le spade in pugno, gli scudi al braccio sinistro, seguendo in dura cadenza il corteo principesco. Davanti a loro va Paghiel con il suo carico. Alla prima via circolare, i mori che lì attendono, gli tolgono il ragazzo. Quando Mosè è raggiunto, i guerrieri si dividono in due file doppie, e marciano passando davanti al corteo principesco, finché i loro capi incontrano Mosè, che si è proprio ora, di nuovo alzato. I guerrieri, su comando, tengono in alto i loro scudi. Poi passano con armi tintinnanti accanto al corteo principesco, che si reca al santo Tabernacolo del Signore. I due mori rimangono dietro agli anziani, per risparmiare a Kahathael la vista del suo ragazzo, mentre Paghiel va dai sette principi fedeli.

16. Dal volto di Mosè è passato il santo fulmine temporalesco, ma ora è adombrato dal cordoglio, che è altrettanto santo. Uomini, donne e bambini seguono con cuore oppresso, e a gran distanza anche la masnada. Giunti al vallo del campo, presso il Tabernacolo di Dio, si leva un’imponente massa di fuoco. Perfino i devoti sono respinti dallo spavento, mentre la masnada, piangendo disperatamente, corre a precipizio nelle sue tende, e si nasconde. Il campo rimane spopolato fino a sera. Alcuni uomini, timorosi, vanno ai kral per abbeverare il bestiame languente. Quando anche i fedeli vogliono fuggire, Mosè li tranquillizza ed esprime la sua seconda preghiera: ‘Che il Signore possa spegnere la Sua ira!’. Quando ha terminato, la fiamma si leva nel Cielo, e solo una fiammella rimane ancora salda sulla nuvola bianca.

17. All’uscita del campo si raduna un fosco corteo: i lebbrosi. Essi devono evitare la comunità. In una casa presso il vallo, opera un medico. Continuamente brucia del ginepro. Là i poveretti ricevono quattro cose di cui anche nella loro vita morta essi avranno bisogno. E queste sono: la brocca d’acqua, una ciotola di legno per lavarsi, un coltello, e una coperta per dormire, tessuta di pelo di cammello. Quest’ordinanza fu data da Mosè già all’uscita dall’Egitto. Nessuno deve inseguire gli esiliati, come accadde spesso quando Mosè era lontano. Egli punì certi misfatti. Fu sempre sua prima preoccupazione dare loro un luogo con ogni cambio di campo. Ora, non lontano si trova una fossa larga e profonda, con caverne che si possono usare. Una volta le avevano preparate i ladri o gli sceicchi del deserto, per nascondersi.

18. La fossa era nello stesso tempo una trappola mortale, poiché attraverso pietre e dune sabbiose ci si difendeva e si poteva essere visti solo quando si veniva direttamente davanti ai suoi margini. Cavalieri impetuosi erano irrimediabilmente perduti. Ora serve agli esiliati per una buona dimora, come Mosè mai l’aveva trovata finora.

19. Il fosco corteo va con passo stentato verso la fossa. Kahathael è l’ultimo. Quando ha ricevuto dal medico le sue cose, si gira ancora una volta. Mosè può vedere chiaramente il povero volto, il tormento, il fardello che, in poche ore, ha scavato profonde rughe. Leva in alto le due mani, con lui Giosuè, Nun, Eleasar e Ithamar, e il servo dell’Altissimo dice:

20. “Siate benedetti da Dio, Colui che perdona ogni colpa, Colui che cancella il vostro peccato! Portate ora senza mormorare la vostra sorte, e purificate le vostre anime che sono più malate del vostro corpo. Neanche noi vi dimenticheremo; poiché il SIGNORE non dimentica nessuno di noi. Possa Egli stendere su di voi la Sua pietà, e avvolgervi nella Sua pace!”. I grigi si sono gettati nella sabbia, e solo dopo un po’ di tempo si rialzano lentamente. Uno dopo l’altro, scompaiono nella fossa.

 

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Cap. 4

La preghiera di Selumiel e cos’è l’ira di Dio

Le Tavole della Vita frantumate sul Sinai

Un nuovo mantello proveniente dal Tabernacolo

1. Mosè va verso il santo Tabernacolo, davanti a lui il principe Selumiel. Non è mai successo – eccetto una volta Aaronne e dopo di lui Nun, Giosuè e i due sommi sacerdoti – che avesse messo il piede nel Santuario un israelita, senza Mosè. Ma quando la nuvola si divide, l’ingresso è libero. E …ora? La nuvola e la fiamma si aprono come una porta, irradiati all’intorno dalla luce che si sprigiona dal Tabernacolo. La moltitudine trattiene il respiro, riconosce il linguaggio dell’onnipotenza di Dio, che oggi ha loro molto da dire. Dietro a Selumiel la porta di Luce chiude i suoi battenti.

2. Quando il principe, con cuore tremante, e tuttavia con la forza di un uomo retto, si presenta davanti all’Arca dell’Alleanza, vede sopra la stessa, sul Seggio di Grazia, sedere la Luce dell’alta Casa. Egli non potrebbe ammettere: ‘Ho visto una figura!’. Ancor meno: ‘Non ho visto nessuno!’. Cadendo a terra, prega: “Signore, Onnipotente, Tu che oggi hai preservato il nostro povero popolo dalla rovina, nonostante la Tua tempesta iraconda, a TE io levo il mio cuore per Mosè, il Tuo fedele servitore. Non lasciargli trascinare tutto il peso che egli, come Tuo giusto, prende su di sé.

3. Ti adiri con lui, gli vieti il passaggio del Giordano. E quello che Tu una volta dici, certamente lo mantieni! Allora, trattieni anche me in territorio moabita, affinché una parte di tutto il peso ricada sul mio spirito. O Santo, benedici me, povero servitore”. Selumiel ha parlato ad alta voce. Le pareti che riflettono Luce di Dio, accolgono il suo discorso, e l’Arca dell’Alleanza lo raccoglie, così che appare come un calice sacrificale. La Voce del Signore risuona dal Seggio di Grazia:

4. “Figlio Selumiel, il tuo sentimento puro ti ha reso giusto. Alzati, e siediti sul seggio di Aaronne”. Selumiel obbedisce, ma trema. Che cosa succederà? Il Signore parla di nuovo: “Principe fedele, tu sei in verità il primo, ma non l’unico che vuole farsi caricare con la Mia Ira. Tu sai quel che significa la Mia Ira?”. – “No, Signore, non lo so! Insegnamelo, se mi ritieni degno di venirlo a sapere”.

5. “Lo devi sapere! La Mia Ira è Misericordia! Io punisco la disobbedienza per guarirla. La Mia Ira porta salvezza!”. – “Anche se con ciò l’uomo va in una fossa?”. – “Sì! Il corpo muore; se esso è punito, così l’anima si purifica. Il mondo passa; solo il Mio alto Cielo rimane!”. – “Perché Tu punisci Mosè? Perché non gli fai passare il Giordano? Lui non è mai stato disobbediente verso di Te!”

6. “Selumiel, hai formulato male la tua domanda. Non potrebbe essere la più grande Benedizione per il Mio primo Principe celeste, se Io lo serbo per Me?”. – “Signore, la Tua parola pesa gravemente! Ma che cosa sarà d’Israele?”. – “Si è scelta la sua via! Se Mosè, sin dall’Egitto, non avesse portato il peso del popolo, …questo stesso sarebbe morto tutto insieme durante la danza intorno al vitello d’oro! Da allora in poi, i pesi aumentarono.

7. Ora, anche tu vuoi portarne il peso. E Io ti dico: tu lo devi fare! Ma non Mi serve ora che tutti i forti vogliano rimanere con Mosè. Io sono l’UNO, e oltre a Me non vi è nessun altro! Così basta un portatore del sacrificio, fino alla fine![11]. Tuttavia benedico la vostra fedeltà. – Ora va’ fuori; sei ancora uomo e non puoi sopportare oltre la Mia Santità. Benedici i tuoi fratelli attraverso la Mia parola”.

8. Come un sonnambulo, Selumiel va fuori. Egli non si accorge che un angelo lo aiuta a portare il peso della Benedizione della Luce. Ma da fuori si vede il volto del principe risplendere meravigliosamente. Mosè si piega dinanzi alla Luce. Dopo avanza lui, il servitore, dal suo Signore. Sotto la cortina stanno Nun, Giosuè, Eleasar e Ithamar, gli anziani a destra e a sinistra davanti al Tabernacolo, i principi davanti all’ingresso. I guerrieri formano due lunghe linee oblique, nel cui spazio interno si raccoglie la moltitudine. Selumiel annuncia la benedizione a coloro che, con lui, hanno levato le mani per la promessa solenne.

9. I mori, che con Sanhus malato erano stati spinti qua e là dal popolo, si avvicinano e adagiano il fanciullo nelle braccia di Paghiel. Selumiel mette la sua mano sulla sua fronte, e ognuno prega per il piccolo. E guarda, questi apre gli occhi, la febbre scompare, lo spirito diventa di nuovo desto e la malattia retrocede. Anche se Mosè è nel Tabernacolo, corre un grido soffocato di gioia attraverso le file. Un ittita solleva Sanhus affinché tutti lo possano vedere.

10. Il gran principe Hur dice, sorridendo: “Ragazzo mio, scendi di nuovo dal tuo alto destriero, perché il SIGNORE parla con Mosè!”. Presto subentra un gran silenzio. “Per il momento rimani con me, Sanhus, io voglio esserti un padre”. – “Io, …io posso rimanere con te, principe Hur?”. Qual raggio negli occhi! “Posso prima andare dalla madre? Io credo che lei non sappia ancora…”. – “Ci andremo domani. Le ho già mandato un messaggio. Ora segui la mia parola”. – “Volentieri!”. Sanhus bacia la mano di Hur e si fa portare nel campo dagli ittiti, con i quali egli fa subito amicizia...

*

11. Mosè sta in ginocchio davanti al Seggio di Grazia. “Signore, Salvatore di tutti noi! Ora Ti chiamo così; poiché volevi guarire ciò che la Tua mano di Diritto doveva mettere in opera oggi sui prigionieri erranti. Accogli la mia promessa solenne: guarda! – Nel Tuo Tabernacolo io sono Tuo, con tutto quel che mi hai dato: spirito, cuore, anima e corpo! Eterno-Santo, fammi tacere, e annunciami il Tuo soave sussurro che mi ha ordinato: ‘Entra nel Mio Tabernacolo e poi lo verrai a sapere’.”. – Quando Mosè guarda in su, vede il Signore[12] seduto sul Suo Seggio di Grazia. Ma non nasconde gli occhi, come ha fatto qualche volta; egli può contemplare DIO, e non c’è bisogno di nessun angelo che porti ciò che è troppo per un uomo.

12. E Dio dice: “Mio portatore dell’Ordine, siediti sul tuo seggio che Io ti ho dato, e ascolta! Il tuo tempo durerà ancora sette giorni, all’ottavo dovrai andartene da qui. Dopo, vedrai tutti i pesi della Grazia che hai dovuto portare. Ma Io, che sono tuo PADRE da eternità, come ho sempre agito anche su questo popolo paternamente, sebbene esso dovesse sentire in Me il SIGNORE, con te non ho fatto una resa dei conti giusta, anzi, perfino assai dura, perché tu Mi sei caro e molto prezioso.

13. Due cose sono del Mio santo alto Diritto, per cui non ti risparmio e parlo adirato con te, sebbene il tuo cuore copra le mancanze del popolo. Mi hai dato nella mano il primo Diritto, vale a dire: tu scusi Israele, anche là dove non c’è più nulla da scusare![13]. Oppure vorresti dire: ‘O Signore, sii clemente, Israele non sapeva che cosa ha fatto oggi!’. Ha strappato la fiamma dal fuoco; in altre parole non Mi ha perdonato che allora, tutta la sua preziosità, fatta nel vitello d’oro, la Mia mano distrusse attraverso di te, affinché non rimanesse più nulla[14]’. Tu hai trattenuto la Mia mano nel campo, che non poté raggiungere il terzo anello, come però voleva la Mia giusta volontà! Hai tu, avuto un diritto di trattenere la Mia mano iraconda?”. – Mosè cade nuovamente sulle ginocchia:

14. “Signore, Tu fai una resa dei conti veramente dura! Sì, Ti sono caduto in braccio, non era faccenda mia, tuttavia, …Ti chiami ‘nostro Padre’! O Padre, è ingiusto, se uno dei Tuoi figli spinge la profondità salvifica della Tua eterna Misericordia davanti alla Tua Volontà giustamente irata? Io mi sono arreso a Te, fa’ di me ciò che vuoi, e come Tu lo vuoi!”

15. “Mio primo, grande è il tuo amore! Perciò voglio parlare con te ancora solo del secondo Diritto, con il quale ti farai coprire leggermente da Me. – Guarda: chi ha dato sul Sinai le Tavole della Legge?”. – “Tu, Signore!”. – “Sicuro! E le tavole di pietra, per i Miei buoni Comandamenti, simili a due ali della Vita, legate in alto attraverso l’Arco del Mio Patto e della Mia Grazia, il cui simbolo è come un polmone nel petto che ha due ali di respirazione? – Chi le ha create?”. – “Tu, Signore!”

16. “Sicuro! Le ho create Io come un organo vivente, affinché chi conserva in sé la sua scritta e agisce di conseguenza, come si inspira ed espira per vivere, non muoia mai. – Avevi tu il diritto di spezzare le Mie Tavole?”. – “No, Signore, non avevo nessun diritto! Anche se il grande smarrimento del popolo mi rese adirato”.

17. “Sì, Mosè, tu eri adirato perché il popolo si era voltato da Me e da te. Se ora nella tua ira, tu, uomo, hai spezzato perfino le tavole della vita, che non erano opera tua – ed Io non trattenni il tuo braccio – allora dimMi: chi potrà indebolire la Mia Ira, nel vedere ciò che successe in quel giorno?”. Mosè sospira profondamente. Non ha egli peccato, più che tutto Israele…? Non è morto l’uomo, quando gli mancano i polmoni, … le Tavole della vita?

18. “O Signore, Sii clemente e misericordioso con me! Vedi, io volevo prendere su di me la colpa d’Israele, per onore a TE e per il Tuo compiacimento. Ma anche m’impietosì la moltitudine. E ora…? Ahimè, il mio grande peccato: nella Tua Opera, al Sinai, ho sbagliato! Tu mi ordinasti di produrre nuove tavole, e con fatica le scalpellai dalla dura roccia. Esse sembravano simili, anche la scrittura; soltanto, …non erano le Tue Tavole! Signore, che cosa devo fare perché Tu mi possa perdonare?”

19. “Tu sei un grande del Mio Cielo”, risuona paternamente. “Cose grandi, Io ho preteso da te, grandi cose tu hai fatto! Ora non ti devi affliggere oltre; vedi, il popolo non era più degno delle Mie Tavole. Solo Io stesso le dovevo spezzare; allora era un buon Diritto di comandarti di farne altre. Ma è bene che non lo abbia fatto la Mia mano e che in cambio, abbia sopportato tu l’Ira. Perciò, Mosè, sta alto dinanzi al Mio volto. Ho fatto nuove le Tavole spezzate della Vita; le troverai quando riposerai sotto la Mia coperta.

20. Ora domando: ‘Vuoi tu attraversare insieme al popolo, il Giordano, affinché Io trattenga la Mia parola?’. Quindi parla, e Io lo farò!”. – “Signore, mio Dio, la Tua Parola dovrà rimanere! Non voglio prendere una cosa per un’altra per la seconda volta nella Tua Opera; ognuna delle Tue alte Parole è una vera Tavola della Vita! Ci andrei volentieri per amor del popolo, affinché questo non perda del tutto la via. Soltanto, Signore: è meglio che io rimanga qui indietro, e ci vada TU, affinché Tu stesso possa visitare Israele, una volta a Casa. – A me avvenga sempre secondo la Tua parola”.

21. Si apre erompendo un raggiare di qua e di là, scendendo giù dal soffitto arcuato e diventando un nuovo mantello che l’Eterno-Santo tesse intorno al Suo Mosè. “Parla ancora una volta a tutto il popolo dell’intera via e che cosa esso dovrà ancora fare in futuro. Quando i tuoi giorni saranno passati, Io stenderò la Mia mano su Israele nella Benignità, a causa del tuo amore! Benedici i fedeli davanti al Tabernacolo. Gli altri, solo al settimo giorno, affinché si rendano conto delle loro azioni. La Mia fiamma rimarrà ora di giorno presso la nuvola, e questa di notte splenderà con il bagliore della fiamma. E ogni parola ingiuriosa su di te sarà un gioiello che le Mie mani raccoglieranno per te. Non toglierti il mantello nei tuoi sette ultimi giorni”.

22. Mosè sta profondamente chino dinanzi al Signore. Una Mano lo solleva, e scorge la Magnificenza alla quale egli un giorno bramò[15], e che gli fu negata per via delle tavole spezzate. Quando esce, tutti retrocedono ampiamente, tanto che il mantello di Dio splende. Mosè cammina nel già dominante buio, dinanzi al popolo. Solo nel vallo del campo si accendono le fiaccole, mentre ognuno torna nel suo rifugio.

 

 

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Cap. 5

I mori fedeli, il medico e la Parola di Dio a Giosuè

Un nuovo mantello nella notte ricca di Grazia

1. Mosè passa attraverso il terribile silenzio del campo, accompagnato da Giosuè, dai principi Nathanael, Eliab, Abidan Paghiel delle tribù di Issacar, Zabulon, Beniamino e Aser, e scortato da due stuoli di guardiani. Le armi tintinnano dolcemente. Il bagliore delle fiaccole illumina un’orribile confusione. Nessuno parla. Mosè è talmente interiorizzato che nessuno osa rivolgergli la parola. Il giorno ha gettato fardelli che quasi non si possono più portare. Ognuno gli augura senza parole ‘buona notte’ con una stretta di mano; solo gli scudieri gli lanciano grida smorzate. Giosuè entra insieme con Mosè, al quale i mori hanno già preparato il giaciglio, oltre al cibo e la bevanda serale.

2. Egli rifiuta. Come potrebbe pensare al suo stomaco dopo un tale giorno, e dopo ciò che il SIGNORE gli ha detto? Anche il suo vecchio corpo ha bisogno solo di pochissimo. A dire il vero, ora si accascia in sé, quasi come Kahathael sotto la resa dei conti di Dio. Egli deve portare il mantello. Ahimè, questo pesa molto di più che tutte le fatiche dell’ultimo tempo, la cosa più terribile di oggi che ha portato con sé. E il più pesante – non si chiama ‘immeritato’?

3. “Non percepire la Grazia di Dio come un fardello”, Giosuè schiude l’interiore del grande. “Avvolgi la tua pena nel nuovo mantello; e quando dormirai, allora dei messaggeri provenienti dalla Luce sapranno rovesciarlo davanti al Seggio del Diritto dell’Altissimo! Dovresti anche riconoscere l’amore dei tuoi servitori, prendendo per te il cibo. Oggi non hai mangiato nulla, e non hai bevuto un sorso. I prossimi giorni pretenderanno da te ciò che quarant’anni hanno lasciato dietro di sé. Inoltre, volevo ancora discutere qualcosa con te, su ciò che potrà accadere quando giacerai sul tuo letto”.

4. Oh, quanto fa bene a Mosè questa parola dell’amico che il Signore ha messo al suo fianco. Ma non ha egli intorno a sé, ancora altri fedeli? Quanto è ingrato da parte sua, di pensare da solo ai fardelli, dove oggi l’Altissimo ha riversato la Sua Benedizione in pienezza su di lui. La resa dei conti non è stata forse un’alta, meravigliosa ricompensa? ‘Nei miei ultimi giorni di vita devo ancora imparare molto’, sospira lievemente tra sé. Poi prende la coppa e il pasto. I mori si rallegrano come fanciulli, quando Mosè mangia e beve quello che il loro grande amore ha preparato. Essi sanno, più che avere solo il sospetto, che il loro signore non rimarrà più a lungo presso di loro. Anche Giosuè deve mantenere un fedele amore; ma nella piega del loro cuore dimorerà solo Mosè.

5. “Mio caro figlio, che cosa vuoi dire?”. – Giosuè prende una morbida coperta chiara che stende con le proprie mani su Mosè. “Stai bene?”. – “Come nel grembo di Abramo”, sussurra di stanchezza, per una febbre spesso ricorrente che minaccia di prorompere, pur se egli non vi ha mai badato, con il dispiacere dei suoi mori e l’astio del suo medico che, per questo, venticinque anni fa gli annunciò una morte rapida. Ancora recentemente, Mosè gli aveva battuto la spalla: ‘Devo attendere a lungo prima che la tua profezia trovi adempimento? Quale oracolo te l’ha data?’. – ‘Lo vedrai’, lo aveva messo in guardia il medico, ‘a un tratto, senza che tu te ne accorga, non ci sarai più’. – ‘Molto probabilmente. E questa informazione te l’ha suggerita l’Iddio d’Israele?’, lui rispose.

*

6. Egli pensa a questo, allorquando i suoi polsi martellano. Alcune volte la tenda vibra come in un vortice intorno a lui, tanto da non fargli più vedere lo sguardo preoccupato che lo veglia. – Un moro sfreccia come un levriero: ‘Deve venire il medico, anche se sta dormendo profondamente’. Il percorso è buono. Ma si posano delle nebbie e, spinto dall’alto spirito infaticabile, con il corpo egli compie di nuovo il suo dovere, anche se molto debolmente. – “Ascolto! Cosa volevi dirmi, Giosuè?”

7. “Il parlare non deve aggravarti, padre”. Quando sono tra loro, Giosuè dice ‘padre’ per la gioia del cuore di Mosè. “Io penso ai principi Ahira e Elizur. Ruben e Naftali erano disgregati dall’istigazione. Molti di loro hanno combattuto con la masnada. Hanno certamente deposto le armi, quando sei uscito dalla tenda; ma essi e i loro principi sono rimasti dietro di te. Io ho visto il loro maligno interiore. Ci avrebbero spaccato la schiena se non fossero diventati manifesti l’Ira e i colpi di Dio. Intanto hanno partecipato alla promessa solenne. Dopo mi è sembrato come se si fossero quasi vergognati di essere dei subdoli banditi. Dio li ha risparmiati! Perché? Non è peggio, giurare fedeltà e pensare poi di non mantenerla? Non sono peggiori i quattro principi ribelli, perché hanno fatto del loro cuore un covo di assassini?”

8. “Hai ragione figlio mio, se in questa situazione si considera solo l’esteriore. Del resto hanno confessato a Ithamar la loro malizia, quando eravamo da Kahathael, per liberare di nuovo i loro cuori. In questo, Ithamar è insostituibile. Eleasar ha lo spirito più grande, ma il cuore più grande lo ha Ithamar. Poiché i due fratelli sono di un solo sentimento, personificano la Sapienza e l’Amore, che nel loro accoppiamento operano sempre benedizione. Ithamar ha scosso la loro coscienza, ed Eleasar la loro ragione. Si erano appena ricreduti, prima che Dio colpisse”.

9. “Allora questa preoccupazione viene a cessare. – Che cosa sarà domani?”. – “Aspetta, finché non sorga il Sole. Presto dovremo ispezionare il campo; deve essere pieno d’orrore”. – “Questo certamente! Padre Mosè, lascia a me il lavoro più pesante; vado a cercarmi degli uomini fidati, e li manderò a coppie se non fossero obbedienti! Tu devi riposare e non puoi andare nel campo, affinché …” – “…la mia profezia non si adempia subito?”

10. È entrato il medico. È venuto al trotto sul suo veloce destriero, il nero sta accanto a lui con faccia scintillante di sudore e orgoglio. “Chi ha ordinato di trascinare qui il nostro medico? Il giorno è stato abbastanza duro per lui”. – Il moro si accarezza la sua lana. ‘Ha agito proprio bene’. – Giosuè salva per lui la situazione. “Il tuo cuore si era fermato, avevamo paura per te”. Il medico ha già tastato il polso, mescolato una bevanda, e ora dà la sua prescrizione.

11. “Speriamo che sia osservata”, dice Mosè. – “Come? Che cosa?”, chiede il medico. “Ah, è così, tu dai le leggi, e tutti gli altri devono obbedire, non è vero? Ma il grande Mosè non ne ha bisogno!”. Com’è da intendere questo, come deve essere compreso. – “Hm, tu pensi? Le Leggi le dà il SIGNORE, e io devo sempre osservarle per primo. Del resto non ti voglio ferire, e ti prometto di non alzarmi domani, se …”. – “…se cosa?”. – “…se mi sentirò come venticinque anni fa!”. – Il medico ride istintivamente. “Signore, sei incorreggibile!”

12. “Io non sono ‘signore’, lo sono solo per i miei servitori, ai quali non lo posso vietare. Per Israele esiste un Signore: il SANTO! E noi tutti siamo figli di un solo Padre: del nostro eterno DIO! Torna di corsa indietro, e domani, guarda verso il fossato, che nessuno di quelli che oggi hanno perduto un parente, vada troppo vicino. Bada anche affinché i servitori portino nutrimento a sufficienza agli esiliati; e che le loro richieste siano esaudite, per quanto possibile”.

13. “Sarà fatto! Ora pensa a te, ed io penserò ai tuoi poveri”. – “Bene, ti ringrazio, … lasciami solo”. Dietro la cortina, che i mori tirano prudentemente davanti al giaciglio, essi si siedono per terra, vegliando. – Giosuè va nella sua tenda. Ancora ha in mano la pesante spada e il grosso scudo. Quanto stanche sono all’improvviso le sue braccia, quanto stanco solo il suo cuore. L’amore ha provveduto anche per lui, e si getta sulle pelli. Ma il sonno lo evita. Che cosa succederà, quando Mosè non sarà più tra loro? “Ahimè Signore, aiutami, che io ti possa consegnare un servitore utilizzabile. Certamente io non potrò sostituire il Tuo Mosè; mi sarà sufficiente se sarai soddisfatto di me”.

14. “Se ti basta questo, Giosuè, allora la Mia Fiaccola splenderà intorno a te, affinché i muri cadano al suono delle trombe”. – “Signore!”, Giosuè si alza precipitosamente. – “Rimani, e ascolta la Mia voce. Presto avrò molto da parlare con te; allora vedrai ciò che adesso non hai ancora bisogno di vedere”. – “Signore, quale Grazia! Aiuta il nostro popolo, benedici Mosè!”. – “Io aiuterò sempre, finché il povero abisso avrà bisogno del Mio aiuto!”. La luce, che stava all’ingresso si spegne, poi Giosuè si addormenta placidamente per le poche ore che rimangono ancora della notte.

*

15. Mosè tocca il nuovo mantello. Vero tessuto, pensa. Come l’ha prodotto Dio, così naturalmente? “Mosè, che domanda infantile! IO sono il Creatore di tutte le cose, anche quando esse passano attraverso le mani degli uomini. Non proviene il tessuto dalla Mia forza, lo spirituale come altrettanto il materiale? È venuto lo Spirito dalla materia, oppure viceversa? Se è così, come può essere per Me più difficile creare il mantello, che le Tavole della Legge, le quali sono state anche per te, pietre naturali?”. – “Signore, Signore, non cominciare di nuovo con le Tavole; qui io sto in una colpa troppo grande presso di Te!”

16. “Tu pensi? Se così fosse, dovrebbe alleggerirti di portare a Me la tua colpa, perché su questa via, Io la saprò anche estinguere”. – “O Signore, hai di nuovo ragione Tu. Solo unicamente TU!”. – “Questo dovrebbe meravigliare tanto poco quanto il mantello che ti abbraccia con caldo amore”. – “Sì, mio Dio, ora non mi meraviglia proprio più nulla, eccetto che …la Tua Longanimità e la Tua inconcepibile alta Grazia. Questo mi meraviglia, principalmente, quella parte di ciò che cade su di me”.

17. “Mosè, ascoltaMi! Mi sono fatto fermare da te il Mio braccio adirato; ma il braccio della clemente Longanimità che ti coprirà e ti porterà a Casa, tu non lo fermerai! Voglio rendere liberi da fardelli i tuoi ultimi giorni, per questo ti ho dato il mantello. Poiché esso è nello stesso tempo, ricompensa e dono, allora non vale nemmeno più quel peso di aver chiuso il conto con te per amor delle Mie Tavole della Vita e per amor della tua ira, e perché tu MI prescrivi di non essere più adirato. E tutto ciò, Mio buon servitore, proviene dal tuo cuore puro!

18. Ora vedi: dinanzi a Me non sussiste nessuna colpa; poiché Io ho levato via il vecchio mantello, la vita di questa Terra con tutti i suoi alti e bassi, con la tua grande capacità, la tua riconoscente riverenziale dedizione a Me, come qualche smarrimento che l’essere umano porta con sé. Allora deponi in questa notte davanti a Me tutti i tuoi peccati, perché già da lungo tempo sei diventato puro dinanzi al Mio volto a causa della tua fedeltà. Consegnati anche qui, unicamente e solo nella Mia mano!”

19. “O Padre, Santissimo, mio Salvatore, mio Redentore! TU mi hai redento! È – perdonami – troppa Grazia; ma non fermerò mai più le Tue mani, né in un modo né in un altro, all’infuori che io ti possa ancora pregare per il popolo, affinché Tu possa prolungare la Misericordia. Ora vado in pace per la mia strada; mi accada secondo la Tua Volontà”.

20. “Quindi, sii benedetto! E affinché tu sappia che il nostro conto vale, il vecchio mantello, che Giosuè doveva ricevere, domani non lo troverai più. In modo meraviglioso gli toccherà quello nuovo. Poiché Io sono il Signore!”. La Figura di luce esce dalla tenda, così che la cortina-porta, nel muoversi, fa posto alla fresca aria della notte. Questa risveglia i mori, i quali si lustrano spaventati gli occhi. Come potevano dormire entrambi? Cauti, guardano al giaciglio. Ma il ‘buon servo di Dio’ dorme soavemente, anche se la malattia non è rimossa. In silenzio e diligentemente fanno il loro lavoro, affinché il signore ne gioisca al suo risveglio.

 

 

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Cap. 6

Elizur e Ahira con la moltitudine dei cadaveri

L’inesorabile e benevolo Mosè mette ordine

Isora, samaritana verso Mara, e futura sacerdotessa

1. Ancora si aggirano ombre notturne sull’ampio cerchio. Solo in lontananza il veniente mattino dipinge una sottilissima striscia sulle alture frastagliate del Seir[16]. Due uomini escono dalle loro tende: i principi Elizur e Ahira, dei quali Giosuè ha parlato con Mosè. Si salutano muti. Per un po’ camminano avanti e indietro, tirando ancor di più a sé i mantelli indossati. “Mi sento così ributtante”, Elizur rompe il silenzio. “Gli altri sono stati puniti, sebbene abbiano ammesso la loro caduta senza tranello. Noi invece…”. Si ferma rattristato. Ahira sospira. Naftali non voleva nessun ammutinamento. Più per vecchio attaccamento, perché già suo padre, l’onesto Enan, portava un buon nome, la tribù ricorreva alla sua opinione. Certamente anche qui il desiderio: ‘Finalmente uscire dal deserto!’. Il popolo era come un Mustang[17], indomito, senza briglie. E …ora?

2. Giungono sulla strada principale occidentale, sulla quale successe il tumulto maggiore. Lì qualcosa arresta il loro cammino. La nebbia, che si stende sul suolo come latte, copre i particolari. Quando Ahira si china a guardare, davanti a lui giace un morto. Dopo pochi passi, di nuovo un altro, e poi ancora e ancora. Da qualche parte un gemere mortale, nelle vicinanze grida sommesse prive d’aiuto. Perlustrano i dintorni. La nebbia si alza lentamente, un fenomeno momentaneo raro, che ne fa dedurre la caduta della pioggia oppure un cielo oscuro, anche se il periodo secco non è ancora finito.

3. “Dobbiamo fare qualcosa, prima che Mosè scorga questo deserto!”, dice Elizur. “Ieri sera avrà sentito certe cose; e non mi meraviglierebbe se presto, di mattino, facesse ispezione”. – “Lo credo anch’io”, risponde Ahira. “Perciò mettiamoci al lavoro, per riparare il nostro torto. I nostri uomini dovranno raccogliere i morti e i feriti. Questa è la cosa più importante”. – Ma quando ognuno chiama la sua tribù per l’aiuto, molti dicono che non ci pensano proprio di farlo, e che sarebbe interesse di quelli che hanno iniziato l’insurrezione. Entrambi i principi incontrano sguardi cattivi.

4. “Guardate, non possiamo lasciare le cose così, se viene Mosè”. – “Probabilmente è vero”, dice uno più ragionevole, “Mosè ha meritato altro. E se non avesse espresso la preghiera, oggi nessuno penserebbe ai morti. Quelli di Gad possono ora assumere il lavoro di sgombero; da loro sono scaturite già spesso, contesa e insurrezione”. Solo pochi di Naftali e Ruben sono pronti ad aiutare.

5. Nel frattempo è diventato chiaro e le vie si abbracciano con lo sguardo. Si offre un quadro come nemmeno la banda di Korach ha lasciato indietro. Gli uomini colpiti stanno silenziosi. Ecco che viene fuori Mosè. Sebbene si senta debole fisicamente, nonostante il mantello di Dio, non trova pace di verificare se l’immagine notturna era giusta. Alla vista della desolazione le vecchie spalle si tendono fortemente, la schiena si piega e gli occhi stanchi sprizzano acciaio. Qui aiuta nuovamente la Potenza! Per l’appunto, giungono da lui Giosuè e il principe Hur. Le strade e le tende sono inimmaginabilmente insudiciate. Queste ultime in parte sono strappate, e alcune completamente bruciate. Per portare via tutto il fetido sudiciume, tutta Israele dovrebbe essere chiamata all’appello. E Mosè dà l’allarme!

6. Corni echeggiano continuamente attraverso il campo. Molti uomini si danno rapidamente da fare presso i kral, per non essere messi a rischio. Mosè conosce gli imboscati. Inesorabilmente li chiama; dappertutto marciano in corteo i suonatori di trombe. I superiori sono informati quasi bruscamente. “Voi, principi Paghiel, Nathanael, Selumiel e anziani, i vostri uomini portino i feriti nelle tende-ospedale; se queste non bastano, allora nelle tende del consiglio. Le donne senza figli piccoli curino i feriti!

7. Elizur, Ahira, Eliab, Abidan e anziani, occupatevi dei morti! Metteteli fuori della strada principale del nord, all’ombra delle sporgenze del terreno. Scavate subito grandi fosse. Ringraziate il Signore che oggi Egli copre il Suo Sole, altrimenti già in poche ore ci sarebbe la peste nel campo, soprattutto con ….”. Mosè volta lo sguardo pieno di disgusto, quando al margine della strada s’imbatte in altri inquinamenti, sui quali si sono già posati vermi bluastri.

8. “Principe Eljasaf, fa’ presto! Mi dispiace addossarti il lavoro più sporco; ma qui non posso risparmiare quelli di Gad. Giuda, Efraim, Manasse, Dan, devono essere utilizzati. Giosuè sorveglia in questo posto i principi traditori!”. – Eljasaf dice calmo: “Va bene, sta pur tranquillo. Questa volta quelli di Gad li metto a posto io”. – “Così va bene! Buttate sabbia sui vermi, e bruciateli completamente! Se fino a mezzogiorno non sarà eliminata la maggior parte, Israele non avrà quasi bisogno di attraversare il Giordano!”. Già molto popolo si è radunato intorno a Mosè; ascolta silenzioso e oppresso.

9. “Il popolo è sempre contro di me, l’inesorabile! Non mi ringrazia mai, quando pretendo amore per la pulizia e la massima cura, quando il sudiciume può essere deposto nelle fosse, quando io, ammalato, sospettato del contagio, li faccio portare nella tenda del ginepro. E che cosa erano tutte le mie fatiche…? La preoccupazione per la conservazione del nostro popolo! Non mi aspettavo un ringraziamento; mi sarebbe bastato che Israele fosse rimasto fedele al Signore. Questo sarebbe stato anche il ringraziamento a me. Invece si ferisce il mio cuore con discorsi velenosi. Ora”, si rivolge alla moltitudine che diventa più fitta: “presto, questo severo Mosè, questo criticone, questo cattivo giudice che non lascia passare nulla, sarà spacciato. Allora Israele potrà fare e non fare quello che vuole. Perché per lungo tempo non dovrà sopportare un giudice, che davanti agli occhi ha il meglio per ognuno!”

10. Mosè si volta. Deve andare al santo Tabernacolo; perché deve ringraziare molto, deve dire molto al Signore, e qualche desiderio rimane ancora aperto. Si retrocede ampiamente dai due lati; oggi però, non per paura, bensì per la grande vergogna e – profondo rispetto. Ancor mai si pensa come adesso: le preoccupazioni dovevano schiacciare quest’unico uomo, per quarant’anni.

11. Di nascosto si bisbiglia: “Ebbene sì; ma perché ha dovuto durare così a lungo? Non si poteva raggiungere prima Canaan?”. – “Che sciocchezza! Ognuno oggi ammette che era la Volontà di DIO, perché ci siamo lasciati guidare in malo modo. Dipendeva solo da noi”. – “Giusto!”, sostiene un terzo, “Se riconosciamo questo, allora non dovremmo parlare, ma agire! Io per la mia parte …”. – Uno di Aser, che fa molto per il principe Paghiel, si mette in spalla il suo badile e dice al principe mentre va via: “Non ci saranno molti feriti; il gelo della notte e la perdita di sangue hanno purtroppo fatto strage. Io, da parte mia, mi metto a disposizione di Giosuè; lui ha più bisogno di altri”.

12. “Ben detto!”. Paghiel stringe la mano a quello della tribù di Aser. Tutto a un tratto il popolo è chiaramente sveglio. Dove giacciono morti, già si sente odore di carogna. Poiché, sebbene le nuvole coprano il Sole e cadono isolati scrosci di pioggia, c’è un caldo pesante e opprimente come prima di un grosso temporale. Molti vermi si posano sul sudiciume. Non lontano dal vallo del campo ululano cani selvatici. A questo punto essi lavorano come pazzi. Israele è nel pericolo più duro. Possa l’uomo di Dio rimanere nel santo Tabernacolo, finché tutto questo sarà scongiurato.

13. Agli uomini cola il sudore a terra. Principi e anziani, ovunque è necessario, intervengono fattivamente. Degli esperti usano estintori di sabbia prodotti sotto l’istruzione di Mosè, estintori che si trovavano nei giardini del faraone. La sabbia è sparsa, vi è posato sopra del materiale imbevuto d’olio, e incendiato. In questa maniera sono distrutti i portatori di bacilli ed è eliminato il serissimo pericolo di peste.

14. Due ore dopo mezzogiorno, il campo è pulito, per la maggior parte. Dal deserto si va a prendere sabbia fresca e se ne cospargono le vie. Ancora qualche ora, …e tutto è fatto. Quanto si rallegrerà Mosè, quando Israele – diligente e pulito come non mai – gli preparerà una degna accoglienza. Questo glielo deve ognuno. – Sta già arrivando la sera per cancellare il giorno, e Mosè non è ancora tornato. Continuamente, e a intervalli sempre più brevi, la gente guarda fuori dal campo. Dove sarà? L’inquieta ricerca si trasforma in preoccupazione. Il venerabile Nun, Eleasar e Ithamar, vanno fuori.

15. Uomini provenienti dalle tribù fedeli – gli altri ancora non osano – chiedono al giudice superiore: “Signore, Mosè è fuori fin dal mattino, aspettiamolo!”. C’è una sincera paura nelle parole dell’oratore. – “Non preoccupatevi; noi andiamo a vedere perché tarda così a lungo. Sicuramente è la Volontà di Dio. Preparate tutto, e dopo pulitevi, affinché a sera sia eliminato ogni pericolo”. – “Lo vogliamo fare!”, e continuano diligentemente a lavorare.

16. Quando i tre superiori, ai quali si unisce il principe Hur – sostituiti da Giosuè appena possibile – hanno percorso metà della via fra il vallo del campo e il Tabernacolo, Mosè esce dal Santuario. Come splende di nuovo il suo volto! Perfino i quattro che lo conoscono così da vicino, lo credono cambiato. Il popolo lo pensa ancora di più, quando Mosè va attraverso le vie. È questo ancora il volto gravemente corrugato, con gli occhi tanto spesso inesorabili, ai quali nessuno resiste a lungo? Con il linguaggio austero che conosce il comando? Con bontà nella parola e nello sguardo, così Mosè cammina attraverso il campo, parla con chiunque l’avvicini. Chiede del loro lavoro e dei malati, se nelle tende manca qualcosa, e di altre cento piccolissime cose. La gente lo segue rigidamente attonita.

17. “Non è mai stato così!”. – “Hm, io penso …”. – s’intromette il terzo, “che egli abbia avuto sempre buone intenzioni con noi”. – “Certo, ma l’ha mai detto così paternamente come adesso?”. – “Questo vi sembra solo così”. Gli oratori, circondati da una piccola cerchia di ascoltatori, si voltano. Il principe di Gad, Eljasaf, sta dietro di loro. “Io voglio dirvi ciò che voi non vedete giustamente. Mosè è stato verso tutti, pieno della più grande bontà, che di solito doveva avvolgere nella severità. Quante volte – riflettetelo – il popolo gli ha preparato amarezze. Il suo primo pensiero era rivolto ai malati; l’ultimo, a tutte le vostre difficoltà, giorno per giorno! E solo da pochi avveduti raccoglieva un ringraziamento! Tutto Israele ha dimostrato oggi con i fatti, che ama il suo Mosè. Quindi, la bontà del suo cuore si è potuta anche manifestare”.

18. “Questo è vero”, dice il terzo uomo, “ma signore, il lavoro era per la nostra stessa sicurezza. E se stamattina Mosè non avesse parlato così duramente e con serietà, allora sarebbero da contare i ragionevoli. Dove dunque rimane il nostro amore?”. – Eljasaf sorride consolante: “Considerate il vostro operare come amore e dimostratelo al servo di Dio nei prossimi giorni attraverso l’ordine e una particolare diligenza”.

19. La stessa cosa dice ogni principe e anziano a tutti i gruppi che si radunano ovunque, per discutere il miracolo: il volto benevolo di Mosè! Nessuno sa che il Signore gli ha ordinato che egli deponga la sua giustificata severità esteriore avuta finora, eccetto che nel giorno di domani, quando dovrà radunare il popolo presso il monte, per spiegargli ancora una volta la via attraverso il deserto. È in questo modo immensamente buono, che Dio aveva trattato con lui come un Padre.

*

20. I sacerdoti allestiscono il Tabernacolo della preghiera. Per domani Mosè ha indetto un sacrificio di ringraziamento. A lui si uniscono i giudici superiori. “Io vado da Isora”, dice Mosè. “Vieni con me, amico Hur?”. – “Proprio secondo il mio sentimento. Sanhus è da sua madre, ed io ho promesso di andarlo a prendere. È un giovanotto molto intelligente, e in più, di una devozione che non ha pari. Così era anche Kahathael. In Sanhus si sono rafforzate meravigliosamente le buone attitudini”.

21. Conversando sono giunti alla tenda gialla. All’ingresso sta rannicchiata una figura deforme. Chi è dunque questa? Essa poggia lì come un cadavere. Solo avvicinandosi, la si riconosce: è la moglie di Ehubia, punita davvero nel modo più duro da Dio. Non ci vorrà molto che diventi pazza, perché lei abbruttisce senza ragione. Mosè stende benedicendo la sua destra; ma nessun gesto rivela la percezione della benedizione. Preoccupati, i due uomini entrano da Isora.

22. Là, regna da ieri un’inaudita sofferenza. Sanhus cerca di risollevare sua madre, di giocare con i fratellini; ma è inutile, eccetto che con la tenera Rut, la quale non comprende ancora la sofferenza. Mosè e Hur vedono l’immagine con preoccupazione. Isora si alza rapidamente. Come si sente dinanzi all’uomo che è sempre stato buono con loro? Non deve egli pensare … “Signore…”, comincia lei, ma non riesce ad andare oltre. Mosè la abbassa dolcemente al suo scannetto che Sanhus ha portato rapidamente per lui e anche per il principe Hur, e si siede accanto. Sanhus trascina i fratelli e le sorelle dietro la tenda, dove con l’aiuto del padre aveva organizzato un angolo per giocare. Intima loro di rimanere lì finché non ritorna. Essi acconsentono sulla parola. Lui ritorna nella tenda e rimane nascosto in fondo.

23. “Isora”, negli occhi di Mosè scintillano delle lacrime, “io so quello che vuoi dire. Ben il fardello dell’uomo passa sulla sua donna, e il carico della donna sulle spalle dell’uomo; ma non quando uno è senza colpa. Ieri il tuo cuore non era vicino”. – “No, signore! Negli ultimi tempi Kahathael quasi non parlava con me, e mia sorella”, lei indica alla tenda davanti alla quale sta rannicchiata a terra la povera creatura, “mi ha fatto molto male, perché io stavo in disparte con i bambini, non appena venivano lei ed Ehubia per mettersi a litigare. Così io non ero informata su quel che tramavano. A dir il vero, …sospettavo del brutto; ma non questo. I bambini non lo dovevano sentire”.

24. “Hai agito come ogni autentica israelita”, interviene il principe Hur. “Il Signore ti è clemente. Ma vedo che ti rimane molto lavoro e non puoi riuscire a farcela da sola. Ti manderò qui Irma, la sorella del mio primo ittita, per aiutarti. Non ci sarà bisogno di nessuna ricompensa da parte tua”. Uno sguardo come un raggio di Sole perduto illumina brevemente il volto dell’ancora giovane e bella donna che, in un solo giorno, è diventata stanca.

25. “Grazie, gran principe Hur! Già con Sanhus ti sei accollato molta fatica! Mai potrò ricompensare il fatto egli abbia trovato un tale nobile padre adottivo”. – “Bene, bene, mia cara figlia”, interviene di nuovo Mosè, “il principe Hur ha anche qualcosa di buono. Sanhus è un bravo giovane”. Il lodato se ne va di soppiatto. Quel che discutono i primi, non lo riguarda ancora. Egli ha una sottile delicatezza. “Perché non mi chiami ‘padre’? Non lo sono più, per te?”, chiede Mosè. – Isora arrossisce profondamente. “Certo; ma non ciò che sta in mezzo a questo”. – “Proprio adesso devi dirlo. … Quali pene hai ancora?”

26. “I ragazzi sono buoni; solo le loro domande per il padre sono un tormento, perché prima che Ehubia e Mara, mia sorella, venissero così spesso, la nostra era una felicità familiare non turbata. Kahathael per i figli era un padre fedele e giusto, che giocava perfino volentieri con loro. Sono andata a prendere Mara perché nessuno si occupava di lei. Non riesce a fare nessun passo da sola; la devo lavare e anche imboccare. Ma guarda”, Isora mostra le sue mani e le braccia graffiate, alle quali sanguinano ancora i lividi, “mi graffia così se la tocco. Certamente si fa dare da mangiare, ma dopo graffia così all’improvviso, che non mi posso proteggere per niente!”

27. “Le tue braccia hanno un brutto aspetto, figliola”, dice Mosè. “Ti manderò dell’unguento e della pelle morbida. Di questa ti farai dei guanti, che tirerai su fino ai gomiti, prima che tu tocchi la debole di senno. Le ferite possono diventare velenose; poiché la bile in Mara si riversa troppo nel sangue. Ma quanto al resto? Tu agisci per il compiacimento di Dio. Curi questa povera anima; possa il Signore liberarla, in un modo o nell’altro”. – “I vicini sono furibondi verso di me e verso i miei figli. Essi dicono: ‘Tutto il disastro su Israele è venuto a causa di Kahathael’. Su di me si prendono la vendetta. Di notte strappano i pioli della tenda, e altro ancora”. Ora Isora ha il coraggio di lamentarsi del suo profondo disagio.

28. “A questo è da porre riparo!”. Hur si alza. Anche il suo sangue anziano può ancora ribollire di collera. Su una tavoletta di cera, di cui ne ha sempre qualcuna con sé, scrive per intero un avviso sottoscritto con il nome suo e di Mosè, e lo appende subito all’ingresso. Parecchi vicini l’osservano. Quando il principe è scomparso, uno si avvicina furtivamente per leggere. Allora, svergognati, tirano dentro le teste; e d’ora in avanti Isora, non solo sta in pace, ma molti la aiutano ovunque sia necessario.

 

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Cap. 7

 

mose6

 

La grande predica di Mosè e tutto Israele lo riabilita

Sanhus va al santo Tabernacolo e il Signore gli parla

L’amore paterno del principe Hur

1. Nel primo raggio del mattino, nel Tabernacolo della preghiera e davanti e su tutte le vie e tra le tende, si trova compatto tutto Israele. Non brucia nessun fuoco, nessun montone è sacrificato. È qualcosa di più poderoso, ciò che il buon servo di Dio sacrifica al Cielo con il cuore. Ora egli guida il suo gregge su ordine del Signore al vicino monte, che si leva piccolo come un’avanguardia lontana del monte Seir dietro il fossato dei lebbrosi. Là egli spiega la marcia spesso incompresa dall’Egitto fin qui, le esperienze di vita vissuta, le buone come quelle cattive, così che alla fine tutti scuotono le teste su se stessi, principalmente quelli che hanno già sperimentato il paese del Nilo, oppure quelli che – come Kahathael, nato all’inizio del cammino nel deserto – sono cresciuti in questa via.

2. Quando alla fine della sua predica, unica nel suo genere[18], egli dice che il suo amore poteva essere percepito e si poteva riconoscerne anche la serietà, quando nuovamente sta lì un Mosè severo e ciononostante del tutto diverso, e quando nella sua preghiera di conclusione egli porta per sacrificio al Signore, Israele come ‘cuore di Jesurun’, dopo quarant’anni, finalmente è compreso. In umiltà, amore e venerazione, chi può, si getta a terra. Il popolo eletto non ha ancor mai sperimentato tale forza della preghiera, non è mai stato unito con DIO, proprio come adesso. Non si contano le lacrime che scorrono sulla via, indietro nel campo. Nei giorni successivi regna da ogni parte un laborioso movimento. Uomini e donne vengono nella tenda di Mosè, oppure lo attendono lungo la via, gli chiedono cose che per una volta non toccano faccende terrene. Questa è la sua più grande gioia; e per questo egli loda il Signore ogni notte.

*

3. I giorni scorrono. La vigilia del settimo, che sarà l’ultimo giorno di Mosè sulla Terra, Sanhus visita sua madre, la quale a causa dei figli continua a piangere, quando è sola. Mara è rannicchiata come prima davanti all’ingresso. Di notte striscia con l’istinto degli animali nella tenda, e si lascia mettere sopra una coperta. Ora Sanhus attende sulla strada il principe Hur. La notte si avvicina.

4. Allora si alza alta la fiamma al Tabernacolo. È come un cenno. Sanhus cammina lentamente come attirato magicamente, poi più veloce, alla fine saltellante fuori dal campo. Non l’ha visto nessun guardiano del vallo. Ma più si avvicina al Santuario, più si rallenta il suo passo. I polsi gli battono. Che cosa gli salta in mente di venire qua di soppiatto? Egli non pensa al pericolo della via, dove di notte si alternano grossi animali selvaggi e scorrerie. Nel deserto il ragazzo è completamente solo. Le mani congiunte, rivolge il suo sguardo alla Casa del Signore. Ancora alcuni esitanti passi. Ahimè, com’è venuto su di lui l’ardente desiderio di entrare una sola volta, e là sentire per lo meno la ‘Voce’ di ciò che il portatore Mosè vede!

5. S’inginocchia. Su di lui scorre un meraviglioso calore, crescendo quanto più il suo ardente desiderio cresce per la Voce. Ma no, egli è un fanciullo! Che il Dio dei suoi padri sia lo stesso Salvatore che dirà: ‘Lasciate che i piccoli fanciulli vengano a Me’, lui non lo può ancora sapere. Il calore gli fa pensare involontariamente ai lebbrosi nel freddo fossato. E’ vero che le grotte offrono una buona protezione, e di notte brucia il fuoco. Ma …e suo padre?

6. Sanhus comincia a parlare tra le lacrime: “O Signore, Tu sei un potente Dio. Perché, se già il Tuo Mosè è un così grande servitore, quanto grande devi essere allora TU? Chissà se mi senti! Tu dimori lontano, oltre tutte le stelle; perché in questo Tabernacolo Tu parli solo con Mosè? Oh, ascoltami, anche se sono ancora un ragazzino. Vedi, mio padre ha fatto qualcosa di male; e tuttavia io lo amo, lo amo più di prima, perché ora egli deve vivere completamente solo e triste. E la madre piange sempre. Questo Te lo dovevo dire una buona volta, affinché anche Tu lo sapessi.

7. Domani sarà il giorno-libero stabilito da TE, dove si dovrà perdonare. I feriti devono porgere le loro mani ai nemici, affinché si faccia pace. Ora vedi, Tu sei certamente il santo Iddio, e io non so precisamente se Tu guardi a tutto, come vanno le cose nel mondo. In questo brutto giorno Ti hanno fatto andare molto in collera, soprattutto mio padre. Tu li hai puniti. Chi oserà pregarTi: ‘Signore, perdona!’. Ma se noi dobbiamo perdonare per primi, non potresti venire anche Tu, una volta, per Primo, e guarire tutti, affinché si faccia pace?

8. Ahimè, io ho molta paura, perché non so se Ti faccio andare in collera, santo Iddio. Che cosa dirà Mosè, quando vedrà il mio peccato davanti al Tuo Santuario? E il buon padre Hur non mi amerà più, perché sono stato disobbediente e non l’ho aspettato!”. Le lacrime scorrono più abbondanti. Allora una mano passa accarezzando sulle sue guance.

9. “Non piangere fanciullo! Poiché il tuo amore e il tuo ardente desiderio sono sinceri, darai uno sguardo nella Casa del PADRE. Vieni!”. Confuso, asciugando le lacrime con le mani, Sanhus guarda in alto. Accanto a lui sta un giovinetto che lo conduce nel Tabernacolo. Presso la cortina, di fronte al Seggio di Grazia, entrambi si fermano. Là risplende una chiara Luce, come un Volto, e il ragazzo sente chiaramente queste parole:

10. “Nulla Mi è così vicino come i cuori dei fanciulli puri! Tu, ragazzo, devi essere consolato e servire ancora Me, il Santo, affinché per tutta la vita tu non esca più dalle Mie mani. Sii consolato, la tua preghiera sarà esaudita! Ma taci; perché lo voglio fare solo attraverso il Mio Mosè!”. Sanhus, lasciatosi cadere, sconvolto, sta ad ascoltare con l’orecchio teso, e tuttavia sommamente beato, la Voce di Dio.

*

11. Due uomini stanno nelle pieghe della cortina; essi avevano cercato Sanhus, pieni di preoccupazioni. Hur aveva dubitato che la via verso il Tabernacolo che Mosè aveva scelto, fosse quella giusta. Lui, piuttosto, pensava al fossato. Ma l’hanno trovato, quando già pregava davanti al Tabernacolo, e hanno sentito tutto. Quando quel giovine, che non è un terreno, conduce Sanhus fuori dal Santuario, si fermano all’ombra della parte sporgente, e li seguono. L’angelo riporta il fanciullo nella tenda del principe, per la gran gioia degli ittiti.

12. Dopo di ciò, entra subito il principe Hur. Non si nota nulla in lui che riveli di aver ascoltato di nascosto il fanciullo. Egli stringe a sé Sanhus, così che questi sente subito: il principe mi ama ancora e …deve essere successo qualcosa. Questo è autentico sentimento paterno, avere il fanciullo sano e salvo, egli non lo sospetta ancora. Si stringe a lui delicatamente, e si sente spinto di dire:

13. “Padre Hur, perdonami di averti messo in imbarazzo. Domani saprai che non è stata una cosa ingiusta. Ti prego, conserva l’affetto per me”. Infantili e nondimeno virili sono la parola e lo sguardo del tredicenne. Una parola di rimprovero, se la volesse dire, sarebbe sbagliata. – “Tranquillo, tu sei il mio bravo giovane. Io lo so, tu non farai mai qualcosa d’ingiusto che potrebbe ferire qualcuno, meno ancora il Dio dei nostri padri, il Santo d’Israele. Se ti adoperi ad agire sempre per il Suo onore, come anche per la Sua gioia paterna, il tuo intero percorso di vita sarà giusto. Ora va’ a dormire! Domani sarà un gran giorno, e la mezzanotte è passata già da qualche tempo!”

 

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Cap. 8

La resa dei conti di Dio, visibile nella nuvola, con Israele.

La grande gioia di Mosè e del popolo nel suo120° compleanno

1. Il nuovo giorno ha appena scacciato la notte, quando sonore trombe inondano il campo con il grande cantico di lode[19]. Le vie e le tende sono adornate a festa; mani diligenti hanno dato loro un abito festoso. Col primo suono di tromba, Mosè mette il piede nel campo, accompagnato da Giosuè. Già da due ore si è trattenuto davanti al Signore; e Giosuè, portando di nuovo la Spada di Abramo, sta sotto la cortina.

2. Quando si nota che Mosè arriva da fuori, tutto Israele gli corre incontro. Oggi egli raccoglie la fiducia, persino qualche affettuosità. Il miglior aiutante di Paghiel, chinandosi profondamente, dice: “Mosè, padre terreno d’Israele, buon servitore di Dio, accetta il nostro ringraziamento. A lungo l’hai dovuto attendere: …quarant’anni! Oggi, al tuo centoventesimo compleanno, ti vogliamo ringraziare tante volte, quanto la tua ricca vita conta i giorni. Possa il nostro fedele Dio farti andare davanti a noi oltre il Giordano; allora …noi, …io”. Ha finito. Mosè, commosso, abbraccia il bravo, e ringrazia il popolo per questa felicità.

3. Esplode un giubilo. Come ondate, tutti vanno dietro a Mosè. Nessuno ha più paura della spada di Abramo che una settimana fa, così metallica, colpiva sanguinante. Oggi lampeggia nello scintillio di un chiaro sole. Alcuni temerari ragazzini afferrano furtivamente lo splendido fiocco d’oro e d’argento che pende al pomo della spada. Sorridendo in silenzio, Giosuè fa finta di non vedere l’affaccendarsi dei piccoli.

4. Presso la tenda di Mosè attendono il gran principe Hur, i principi, gli anziani e i quattro principi anziani. Fino a mezzogiorno Mosè non trova quiete. Molte mani aiutano gli inviati delle dodici tribù e stirpi che presentano i loro doni. Il superfluo è riservato per i poveri e per quelli del fossato. Popoli abitanti vicino prendono parte, poiché mediante ogni specie di commercio con Israele sono informati sugli avvenimenti. Su cavalli e cammelli magnificamente sellati essi portano doni. Mosè è conosciuto. Presso i pagani è un uomo di Stato, come un re, quale non se ne trova da nessuna parte.

5. Hur dà a Sanhus un mantello per giovani uomini, sebbene gli manchi ancora un anno per questo. Egli è molto eccitato. Ma sa calmare l’invidia dei compagni. Solo al braccio della madre si stringe con volto raggiante. “Se tuo padre potesse vedere questo”, dice lei sottovoce. – “O madre, oggi è il giorno del perdono, chissà …”. S’interrompe all’improvviso; ha promesso a Dio di non parlare; ma di fronte alla madre gli è difficile tacere.

6. Dopo il banchetto, e dopo che molti doni sono stati distribuiti, i dignitari stranieri sono congedati con preziosi contraccambi di doni, mentre il popolo si raccoglie sulla strada principale occidentale. Ai principi e agli anziani gocciola il sudore; circa cinquecentomila uomini, malati e innumerevoli bambini, devono essere ordinati. Tuttavia, tutto riesce bene e velocemente, perché ognuno è volonteroso.

7. Precedono i venerabili Nun, Eleasar e Ithamar nella loro magnificenza sacerdotale; dietro, Mosè nel mantello di Dio, sul capo il leggero copricapo. Seguendo la benedizione, che la sua preghiera è andata a prendere dal Cielo, le tribù che sono state infedeli s’inquadrano dietro Mosè, poi le fedeli. Ogni principe guida la sua tribù, sostenuto dagli anziani. Il corteo è affiancato da guerrieri armati. Di questi, Israele ne ha un considerevole numero da presentare.

8. Il principe Hur conduce Giuda al posto di Nahesson. Sanhus può rimanere accanto a lui. Dietro, Isora e i suoi figli, Mara è condotta a forza da vigorose donne, perché Isora nella sua bontà di cuore ha pensato che nel giorno del perdono potesse avvenire un miracolo, valido anche per Mara. Da Mosè ha ricevuto un ringraziamento per questo, il che ha messo in tumulto il suo intimo.

9. Dopo Giuda segue Manasse con il suo vecchio principe Pedazur, padre del traditore Gamliel. Il novantenne non aveva nessun sospetto dell’insurrezione. Egli studia nel silenzio la storia di Abramo. L’anziano Abeldan sostituisce Ahi-Eser di Dan. Il principe Eljasaf segue con i suoi di Gad. Poi vengono Efraim con il padre di Eljasaf, il vecchio principe Deguel, Ruben e Naftali con i loro principi Ahira e Elizur, le tribù di Issacar, Zabulon, Simeone, Beniamino e Aser con i principi Nathanael, Eliab e suo padre Helon, Selumiel, Abidan, suo padre Gideone e il principe Paghiel che, di proposito, assume la fine del corteo. Al suo fianco cavalca il medico; egli ha distribuito lungo il corteo i suoi collaboratori.

10. Si va fuori verso il Santuario. Trombe e corni si danno il cambio. Il loro gioco suona come lamentevole oltre la moltitudine, ed è in ogni modo una festa così gioiosa. Si attende la benignità di Dio! Al seguito di Giosuè, Nun e i sacerdoti, Mosè entra nel Tabernacolo del Signore. Egli riceve una somma benedizione e la promessa che Dio parlerà al popolo. E di nuovo Mosè sembra del tutto cambiato quando porta la benedizione, per la quale ognuno ringrazia dal più intimo. Il buon servitore ha ricevuto lo sguardo teneramente oscuro di Dio, come nessuno lo conosce, nemmeno precisamente Mosè; anch’egli, infatti, è ancora un uomo.

11. Sulla collina vicino, dietro al fossato, dove ha parlato sette giorni fa, Mosè sta lì potente e umile. I suoi occhi si soffermano sul popolo. Quanto egli ha amato questo Israele ostinato, incostante e, tuttavia, pieno di abnegazione. Poteva essere buono se, …l’avesse voluto, ma troppo spesso non l’aveva voluto. Dovrà essere guidato per tutta la vita da mano dura, le cui dita sono bontà, se deve diventare ‘JESURUN’. Il servo di Dio si scuote di dosso i pensieri. Oggi possono servire solo la bontà e l’amore.

12. Egli ammonisce e avverte, indica pieno d’amore l’alta via che è aperta a ogni uomo, se riconosce la Volontà di Dio. Ora fa un cenno per i malati. Questi sono molti. Ci sono anche i segnati, i principi paralizzati, storpi e miserandi. Tutti si portano alla collina. Isora si sfila velocemente i guanti. Con prudenza – ha imparato che un tocco delicato può indurre l’ottusa a graffiare – lei e una donna prendono la malata. Ma strano: oggi Mara si lascia guidare docilmente.

13. Isora porta da Mosè la sorella, la quale le ha fatto molto male per gelosia, perché lei diventò la moglie di Kahathael. Ahi, che aspetto miserevole ha la creatura abbattuta! Nessuno la riconosce. Si sa solo che è la vedova di Ehubia. Mosè passa nella fila degli ammalati con capo scoperto. Quando giunge vicino a Isora, lei leva supplicando la sua voce ed esprime la richiesta di Grazia, come se fosse per se stessa. Mosè si ferma. Dietro di lui, cadono uno dopo l’altro. Gli istigati sono guariti; e gli istigatori sentono che arriverà la guarigione che egli promette, non appena il popolo passerà il Giordano: in sette settimane! Oh, quanto ringraziano ora quest’uomo, al quale toccò il loro stolto odio.

14. Mosè impone le sue mani su Isora e Mara. Si attende con ansia. Tutti sono colti da un’ardente compassione: la punizione di Mara è stata la più dura. In verità, lei aveva esclamato la bestemmia, e dalla sua lingua si guardavano persino le pettegole. Ciò nonostante… “O Dio. Tu, Santo, aiuta questa poveretta!”, esclamano molti. Ed ecco, il corpo diventato pieno di difetti si raddrizza, gli occhi si aprono. Mara vede Mosè e ascolta la sua sentenza benedicente. Il grido supplichevole del popolo riconosce il grande amore di Isora e, …cade in avanti. Lacrime, come un torrente montano, bagnano con impressionante singhiozzo i piedi di Mosè. Molte donne piangono, qualche uomo preme i pollici contro i suoi occhi. Mosè solleva Mara al suo cuore, al quale pochi finora hanno riposato, perché pochi l’hanno voluto. Amorevolmente passa la mano sui suoi capelli scompigliati.

15. “Sii consolata, figlia d’Israele, DIO ti ha aiutato! Ora senti di nuovo, vedi il Suo stupendo Sole della Vita e tutto ciò che Egli ha creato. Sii benedetta; e con cuore ricco, ora servi il Signore”. Ringraziando muta, Mara stende le mani, il linguaggio, infatti, non le è stato ancora restituito. E non ne ha bisogno. Si volge al medico; per lui e per i malati, lei sarà una soccorritrice fino alla fine della sua vita. Dalle sue mani fluirà una forza guaritrice, con la quale curare i bisognosi d’aiuto.

16. Ancora uno, guarda Mosè quasi struggendosi: Sanhus! Nel suo sguardo sta scritto chiaramente: e i lebbrosi? Dove c’è mio padre…? – “Sanhus!”, esclama Mosè. – Come una freccia si precipita il ragazzo: “Signore, parla!”. – “Va’ al fossato e porta qui i nostri poveretti”. E al popolo sorpreso: “Presto saprete perché il ragazzo può fare ciò che si addice al sacerdote”. Allora ammutoliscono opinioni impertinenti, nell’attesa del grigio corteo. – Sanhus domanda: “E gli altri?”. – Gli ‘altri’ sono lebbrosi delle tribù che accampano intorno nel deserto. Mosè non solo li aveva lasciati abitare tra i suoi israeliti, ma aveva concesso assistenza anche a loro. Il ragazzo pensa a costoro che sono oppressi dalla miseria.

17. E Mosè dice: “Come vuoi tu, allora sarà anche la Volontà del nostro Signore!”. – Di nuovo il ragazzo scocca come una freccia dall’arco, sul piano, fino al fossato, già chiamando da lontano: “Padre! Padre!”. I lebbrosi balzano in piedi. Chi è chiamato? – Kahathael riconosce la voce del suo ragazzo. Si precipita fuori: “Fermati!”. Con sguardo raccapricciante alza in difesa le due mani, quando Sanhus senza paura salta oltre gli scaglioni e abbraccia caldamente suo padre. Egli non lo avrebbe riconosciuto, tanto è distrutta la figura dalla lebbra e dall’angoscia in una settimana. Il grido terrorizzato del padre gli mostra la via.

18. “Vieni, padre!”, esclama lui allegro, “venite tutti! Il Signore vi guarirà!”. – Scossi dallo spavento, i lebbrosi si stringono intorno a padre e figlio. “Deve essere questa la verità?”, essi domandano. – “Certo! Il Signore ha soccorso ognuno. Zia Mara può di nuovo vedere e sentire, solo, non può parlare”. Regna un gran giubilo! “Venite, presto, Mosè aspetta!”. Gli israeliti, in verità preoccupati, perché non possono lasciare il fossato, seguono Sanhus, il quale pieno di premura regge suo padre, e aiuta anche i deboli sui sentieri. Di sotto ci sono ancora i pagani, col capo chino e malinconico. Ah, come vorrebbero volentieri credere che il ‘Dio straniero’ fosse anche per loro un Soccorritore! Sanhus mette il piede al bordo del fossato.

19. “Allora venite, anche voi sarete guariti!”. – Un irremovibile israelita dice: “Che cosa c’importano i pagani? Forse Mosè non ha abbastanza forza, e qualcuno di noi potrebbe rimaner malato. In cambio, questi pagani, Dio li punisca…”. – “Dio punisca te!”, scoppia d’ira il ragazzo. Ma aspetta! Non deve essere cattivo con l’anziano che soffre già da molto tempo della lebbra. “Sii ragionevole”, egli rabbonisce. “Se Dio s’impietosisce di voi, non dovreste impietosirvi anche voi di quelli che dovrebbero rimanere nel fossato senza consolazione?”. Egli salta giù e aiuta a portar fuori i più deboli. Gioiosamente orgoglioso, ordina l’intero corteo.

20. “Va’ in fondo, caro padre! Questa sia la nostra costante preghiera: che Dio possa benedire gli altri prima di noi”. – “O ragazzo, da dove hai preso quest’amore?”. Kahathael è commosso. La bocca di suo figlio insegna i Santi Comandamenti di Dio! I pagani piangono, quando il ragazzo li fa andare avanti. L’anziano israelita si unisce volontario a Kahathael. Così il grigio corteo arriva da Mosè, che con Giosuè, i sacerdoti, il medico e i suoi aiutanti, gli viene incontro. I lebbrosi non possono andare a casa dai loro, prima che non siano puliti, lavati e provvisti con abiti freschi, che si donano abbondantemente, così che ne rimane a sufficienza anche per i pagani.

21. Mosè dice: “Il Signore cerca le pecorelle smarrite e le conduce a casa”. A ogni malato egli dà la benedizione di Dio, e ognuno è guarito. Con l’ultimo s’intrattiene un po’: “Kahathael, sii un buon sostegno per la tua tribù, la quale in questo giorno si dimostra fedele. Eljasaf è stanco, egli ha bisogno di una mano forte; devi diventare tu il principe della tribù”. – “Non io, non io…”, respinge Kahathael. “…Sanhus! Io voglio essere un servitore del principe, finché non avrò estirpato le mie molte colpe verso Dio, verso di te e verso Eljasaf. Io, …oh, no, non potrò mai assumere la dignità di principe!”. – “Allora rimani quel che sei! E in questo sia riconosciuto che anche la tua anima è guarita. Sii benedetto, tu e tutta la tua casa”.

*

22. La benedizione va in adempimento. Presto, Isora riceve il ‘senso profetico’. Sanhus, che ancora per un paio d’anni sarà guidato dal gran principe Hur, si sviluppa come un uomo retto che serve onestamente Giosuè, e pure i primi giudici, come il principe di Gad. Kahathael, invece, rimane un figlio umile di Dio, fino alla fine della sua vita.

*

23. Quando i pagani si convertono, Israele loda il Signore. Ognuno è felice e tutti ringraziano Mosè, ad alta e bassa voce, com’è possibile. Questi nel frattempo si è di nuovo diretto verso la collina, e vi sale. Mancano ancora due ore, prima che il Sole cali, e poi – poi …

24. Dal Tabernacolo la nuvola cammina di qua, come un Uomo molto grande. Su di essa sfavilla come una Corona. La moltitudine è presa da profondissima riverenza e da una fede che raramente esisteva. Solo preghiere per il corpo o per paura prevalgono, quando Dio, per guarirli, dovette batterli a causa dell’idolatria. Ora le tribù davanti al Signore sono unite da un’imprevista pace. La nuvola occupa un largo passaggio, e Israele lo libera ampiamente. Cammina su per il monte, dove sta Mosè insieme ai primi; e il maestoso segno del Cielo si mette dietro di loro, proteggendo. La Figura si forma in sempre più magnifica chiarezza, così che tutto Israele possa dire: ‘Noi oggi abbiamo visto il nostro DIO!’ Non come Mosè, faccia a faccia; e tuttavia è un vedere e ascoltare Colui che si rivela.

25. Il Signore fa la resa dei conti. Come con Mosè, così con il popolo. La santa Voce esige un ‘Sì!’ per la confessione di tutti i peccati, come anche il ‘No, noi non abbiamo obbedito!’. Ben gli occhi si abbassano; per questo, alto, sale l’amore, e potente diventa la fede. E come il buon servo di Dio alla fine ha ammesso: ‘Signore, hai fatto la resa dei conti con me troppo ingiustamente, hai concesso troppo della Tua Grazia’, così ugualmente Israele. Dopo le parole di Dio, tutte le anime si alzano, come il raggio del Sole fa con i fiori quando cadono a terra bagnati di rugiada.

26. “Ora i vostri misfatti devono essere ripagati. Ho cancellato la vostra colpa e l’infermità è guarita. Ben a ognuno che persevera così davanti al Mio volto fino alla fine del suo tempo. Rimanete ancora sette settimane in questo luogo, affinché vi tempriate. Dopo, il Mio Giosuè dal ‘Mio Spirito’ vi condurrà oltre il Giordano”. – Allora il popolo grida: “E Mosè? Ah, Signore, lascia il Tuo Mosè con noi!”. Quanto spesso ardente era l’odio, così ardente ora è l’amore.

27. “Il Mio servo si è sacrificato per voi per quarant’anni. Io ho accolto questo sacrificio e l’ho benedetto per Israele. Se rimanete con questa benedizione, allora le Mie mani rimarranno su di voi! – Ora seguiteMi fino al recinto, là il Mio Mosè vi darà la benedizione del congedo. Poi andate a casa, andate nei vostri rifugi”.

 

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Cap. 9

 

mose7

 

Dio parla al popolo attraverso Mosè

Il santo Esteriore: il Tabernacolo di Grazia di Dio

Sanhus vive l’avvenimento spirituale con Dio e Mosè-spirito

1. L’orizzonte, infuocato dal Sole, copre il mondo con ali rosse. Ali che portano il giorno in una notte sconosciuta. – Al posto della nuvola, la colonna di Fuoco di Dio cammina verso il recinto, e Israele la segue. Anziani sono sostenuti, donne e bambini sono aiutati, un popolo nel quale Dio ha oggi compiacimento. Se però, Egli potrà scrivere questo per sempre nel Libro di Grazia, quando la transitorietà della razza umana lascerà passare l’alto sentimento, solo l’Altissimo lo sa precisamente; e il Fuoco parla attraverso Mosè:

2. “Israele! Ti ho promesso ad Abramo come seme: terrenamente come la sabbia del mare, poiché siete nati dal terreno e la materia è la vostra parte; e come le stelle del cielo quale porzione di spirito che è insito in ogni uomo, affinché esso impari a discernere il bene e il male, fino a quando non s’innalzi dalla sabbia alla luce della sua stella.

3. Ho benedetto abbondantemente i vostri avi, i quali portavano in sé il Mio Spirito; vi ho guidato, affinché dovesse disperdersi la sabbia e irradiare solo Luce eterna. Attraverso Mosè – davanti a Me, un grande – ho mostrato giornalmente Benignità, Grazia, Longanimità e Mansuetudine, e voi avete potuto percorrere sicuri le Mie vie. Mi sono avvicinato a voi con il Mio Santuario, per quanto la Terra lo poteva sopportare. Ma voi malvolentieri siete andati alla Casa della Mia Custodia, al Tabernacolo che Io avevo ‘fondato’.

4. L’ho eretta davanti al campo. Voi non ne avete mai riconosciuto il senso, e Mosè non lo poteva interpretare; lo avete sempre assediato con la vostra sabbia. La via del deserto vi ha mostrato la vostra transitorietà sulla Terra. Oggi l’avete lasciata, per scambiarla con le eternità. Io sono venuto da voi dalla parte più intima, e poiché ogni Rivelazione è un esterno della Mia inaccessibile Luce-Santità, la Creazione, il Tabernacolo dell’Accessibilità, attraverso cui tutti i figli nel Cielo e nella materia trovano il più interiore, per voi è il fuori.

5. Come Io eternamente sono sempre uscito quale ‘Redentore da tempo immemorabile’ – rivelandoMi[20] – affinché le creature dovessero avere la loro figliolanza, così anche i figli devono abbandonare il loro vallo (modo di vedere, modo di vivere), per giungere da Me nel Mio recinto, quindi nella protezione di Grazia del Tabernacolo realmente vivente. Se un giorno il Tabernacolo, il Mio ‘santo esteriore’ sarà costretto in una città di pietre (tempio di Gerusalemme), allora avrà per lo più un interiore vuoto, che rarissime volte potrà rendere vivente l’esteriore.

6. Il Mio esteriore vale per tutti i figli come personale Rivelazione che, come questo Tabernacolo, ha un santo Recinto. E nessuno può passare attraverso l’eterno Recinto, se non porta il suo povero esteriore nel Mio santo interiore, né il suo interiore di vita nel Mio santo esteriore! Il Mio santo Essere accoglie in custodia ogni figlio, che è penetrato attraverso il Recinto. Chi raggiunge questo, ha la sua vita nel santo Esteriore; allora ha abbandonato la sabbia, ed è diventato ‘Stella’: un figlio della Mia Luce!

7. Ora voi, uomini e donne, perfino qualche fanciullo, sentite come se viveste nel Recinto; e il vostro campo, nel quale vi siete sempre sentiti sicuri, vi sembrerà come povero esteriore. Scoraggiati, voi guardate al luogo che nel buio non dona nessun barlume. Voi dite: il Recinto del Signore, la Custodia del Suo santo Tabernacolo, è il nostro campo! Conservate questa fede, e in Verità Io vi dico: il Mio esteriore sarà sempre con voi, ovunque vi accampiate, ovunque percorriate i vostri sentieri! Conservate il Mio santo esteriore nel vostro cuore, ed Io conserverò per sempre il vostro esteriore nel Mio Recinto! -

8. Ora andate nelle vostre tende; e annotatelo per i vostri figli, che il Mio santo Tabernacolo, insieme al Recinto, sarà sempre fuori dal campo, davanti alle vostre città; perché il Mio Esteriore precede tutto il terreno! E inoltre: non dimenticate mai i poveri che devono vivere fuori di una comunità umana! Non domandate della loro colpa! Colpevole è tutta la razza umana! Sono IO l’eterno Giudice su colpa e innocenza, ed Io riedifico ciò che è spezzato! Andate continuamente dai poveri che hanno bisogno d'aiuto, e portateli nei vostri rifugi, perché chi lo fa, questi Io lo porto nel Mio Recinto, nella santa Custodia del Mio Tabernacolo – nel Mio Cuore paterno!

9. Sii benedetto tu, Mio Israele! Diventa, da popolo della Mia fatica, un popolo di figli della Mia gioia! Andate in pace!”

10. Come un campanello, la volta notturna ha lasciato echeggiare lo scampanellio dell’eterna Voce sulla Terra, e non vi è nessuno in tutto Israele che non l’abbia sentito, e non compreso. Innumerevoli stelle scintillano giù benigne; il loro splendore gareggia con la Parola di Grazia. Poiché la PAROLA è il linguaggio della Sua bocca, le stelle sono opera delle Sue mani! – Israele si alza in silenzio, per operare secondo l’ordine del Signore. Ma quando Mosè si ferma nel bagliore fiammeggiante della colonna di Fuoco, i benedetti, con molta esitazione percorrono la loro via, ammoniti dai principi e dagli anziani, che a loro volta a malincuore rivolgono spesso indietro i loro occhi. Anche Giosuè è rimasto indietro, su ordine del Signore.

*

11. Per tutta la notte nel vasto campo c’è un avanti e indietro, in verità senza fretta e grida rumorose. Soltanto – un’interrogazione lieve, timorosa, si aggira intorno a ogni tenda. All’infuori di quelli veramente stanchi, e dei bambini, nessuno pensa al sonno. A ognuno sembra come di sentire ancora l’ultimo cantico di Mosè[21], che egli cantò per la lode a Dio. Si sente ancora quella forza che sgorgava dalla santa Parola come alto Dono, consolidato di vera Benedizione attraverso il Fuoco di Dio.

12. Giosuè ritorna dopo mezzanotte. Solamente, …gli uomini stanno muti, sagome nere, e il silenzio del ritornato diventa un peso. Dove superiori attendono con i loro portatori di fiaccole, si radunano circoli più grandi. Ma anche presso di loro c’è solo un cenno con la mano fiacca, la conferma ansiosa di chiedere. Allora si voltano alle loro tende, siedono a lungo là attorno ai piccoli fuochi del loro focolare, e attendono vegliando, finché albeggia il mattino. Ah, quale verità porterà?

13. Vicino alla tenda gialla stanno il principe Eljasaf, l’anziano principe Deguel e Kahathael con Sanhus, che per ora deve rimanere con i genitori, perché il gran principe Hur non ha tempo per la guida, con la trasformazione che c’è da aspettarsi. Quando Giosuè passa, altrettanto muto, le spalle di Kahathael si alzano come rabbrividendo. Egli ha aspettato assai impaziente che Mosè venisse, …almeno ancora una volta.

14. Con l’occasione, la sua mano si stacca da quella del ragazzo. Favorito dall’oscurità, Sanhus segue una chiamata che il suo cuore percepisce, e il grande amore per il buon servo di Dio lo induce ad allontanarsi come ieri, senza che nessuno se ne accorga. Già da lontano gli splende incontro un faro luminoso. Più vi si avvicina, più gli sembra un mare fiammeggiante, come se la regione bruci in lungo e in largo. Il delicato fanciullo trema in tutto il corpo, e la sua anima trema ancora di più; ma non per paura, piuttosto per riverenza davanti al Signore.

15. Ecco che accanto a lui sta quel giovinetto che lo guidò nel santo Tabernacolo. Sanhus lo riconosce subito. Reso felice, come se questi gli sia una protezione, sebbene la migliore protezione sia DIO stesso, afferra la sua mano. “Oh, quanto è bene che tu sia venuto! Io certamente non ti conosco, ma il mio cuore mi dice che sei dall’Alto”. Sanhus indica in alto la volta celeste che, ancor sempre di un blu vellutato, abbellito da un maestoso trionfo di stelle, clemente, copre la notte dei mondi. Così splendevano oggi gli occhi di Mosè, e così, …sì, così, nel Santuario di Dio, lo colpiscono due Raggi provenienti dal Seggio di Grazia.

16. Il giovinetto impone silenzio con un soave sorriso. Allora Sanhus si tiene affettuosamente stretto alla figura celeste, e ‘l’occhio del suo spirito’ si apre. Ciononostante, non afferra completamente l’avvenimento. Il giovane lo conduce al lato destro del Recinto, e là stanno molte figure, uomini gentili, fanciulle delicate; ed essi formano una via. Al ragazzo sembra tutto incredibilmente magnifico.

17. Subito si solleva la pesante Cortina del Tabernacolo, ed esce il SANTO, mano nella mano con Mosè. Il ragazzo non vede Dio ‘Faccia a faccia’, tuttavia certamente così, che non può esistere nessun dubbio sia una visione. E Mosè? Ma lo è ancora? Il suo volto è trasferito in quel Raggio che, come bizzarro segno, tiene unito il mantello del Creatore sul petto dell’Onnipotente. Mosè ha quasi l’aspetto del giovinetto; solo più maturo; a Sanhus sembra più grande. Egli non lo può afferrare precisamente. Al meraviglioso Dio e al Suo servo, seguono parecchie figure potenti.

18. Quando Dio e Mosè vanno attraverso il sentiero di Luci viventi, l’appassionato agitato ragazzo si getta giù. Solo la Mano che dona benedizione, dà Vita, edifica e libera dalla colpa, gli fa cenno. E il giovane conduce il suo fratello terreno verso l’alta Luce.

19. Di nuovo non si sente nessun suono tutt’intorno. Il Cielo ha purificato la regione. Da questo lato del fossato si va nel paese dei moabiti; di là c’è la collina dove è avvenuta la Misericordia di Dio a tutto il popolo. Ci si dirige verso il monte Pisga e il monte Nebo.

20. Quello che accade là, è così infinitamente santo, magnifico e meraviglioso, che il ragazzo si stringe del tutto saldamente alla sua guida, il suo cuore batte sempre più forte, finché la Luce gli getta addosso un lembo del suo fine, azzurro mantello. Solo allora Sanhus diventa quieto. Tuttavia deve vivere tutto questo così; perché tutto deve essere inciso in lui, per sempre.

 

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Cap. 10

Giosuè presiede l’adunanza generale

Sanhus racconta, poi guida la ricerca del mantello

Mosè non si trova

Alla fine, Dio copre Giosuè col mantello

1. Come Sanhus arriva nella tenda del principe, il giorno successivo egli non lo può dire. Hur è sorpreso. È già così affezionato al fanciullo, che questi non può rimanere nemmeno una settimana presso i genitori? Con il padre che egli ama sopra ogni cosa? Pensieroso, osserva il giovane dormiente, il cui volto risalta molto nobilmente. Proprio quando vuole andare da Giosuè per faccende urgentissime, Sanhus si risveglia. Si meraviglia perfino lui di dove si trova; leva via la leggera coperta di pelle e si tira su. Porta ancora il suo abito del giorno di festa e il mantello da giovane uomo che gli sta così magnificamente, e non voleva sciuparlo.

2. “Da dove vieni”, domanda il principe. “È venuto a prenderti il tuo amico lungo?”, Hur intende l’ittita. – Sanhus si guarda intorno. All’improvviso si getta singhiozzando al petto di Hur. “Padre Hur, io, …io ho visto tutto!”. – Il principe è spaventato. “Che cosa hai visto, ragazzo mio?”. – “Tutto! Con Dio, …e Mosè, …il Fuoco, …e le Mani che lo portavano, …giù dal monte Nebo, …e su, da qualche altra parte! Oh, padre Hur, Mosè non ritornerà, il SIGNORE l’ha coperto!”

3. Per ora non si riesce a sapere di più. Hur crede fermamente che Sanhus abbia visto qualcosa di straordinario, altrimenti sarebbe da supporre che fosse nuovamente malato, tanto sta tremando. Egli manda a prendere Eleasar e il medico. Presto se ne deduce all’unanimità, che nessuna malattia, ma la potenza di Dio agisce nel ragazzo. E ha bisogno di quiete, affinché si chiarisca in lui l’avvenimento. Si vuol sapere ‘che cosa’ abbia visto.

4. I genitori ricevono la notizia. È giunto il momento! Kahathael ha cercato suo figlio fino al mattino, tutt’intorno, in ogni tenda. I vicini supponevano che fosse da Hur. Tuttavia molti uomini l’hanno cercato dentro e fuori del campo. Ora Kahathael e Isora andranno nel pomeriggio nella tenda del principe, dove Giosuè ha convocato tutti i superiori d’Israele per l’adunanza generale. Allora Sanhus potrà ben riferire. Che questo accada, bisogna ringraziare il celeste che, nel sacro incarico, viene una volta quando la tenda è diventata proprio vuota. Il giovane aiuta il ragazzo, affinché ciò che ha vissuto nella notte venga alla consapevolezza nel giusto seguito, e chiaramente.

5. Sono radunati principi, anziani e uomini e donne d’esperienza. Sanhus siede con i suoi genitori. In quel momento, per ultimo, entra Giosuè. È salutato con rispetto. Sarebbe una storia a sé, raccontare dell’uomo che dovrà guidare il popolo nomade al posto di Mosè. Egli ha la fronte alta e spaziosa. Come aspetto è più imponente di Mosè; ma i suoi occhi guardano benignamente. A dir il vero, Israele avrà abbastanza occasioni di sperimentare quest’uomo, perfino molto inesorabile, quando è necessario per il bene del singolo come del popolo. I brontoloni, che esisteranno finché gli uomini resteranno UOMINI, diranno più tardi: ‘Mosè è stato più amorevole di Giosuè!’. Essi avranno torto, in un modo o nell’altro.

6. Ora, naturalmente, le gravi preoccupazioni e le afflizioni che Israele ha ricevuto, pesano di nuovo solo su ‘un uomo’. Egli saluta l’adunanza con serietà e va ad occupare quel posto che fino a ieri occupava Mosè. Essi dapprima discutono le trattative con i moabiti a causa del grano, dell’olio e di altre cose di vitale importanza, su cui ci si vuole mettere d’accordo nell’acquisto e nella vendita. Israele è grande, vuole vivere, e il suo mantenimento richiede giornalmente centinaia di colloqui. Ma oggi non c’è nessun lungo tergiversare, perché ognuno aspetta ciò che c’è da riferire su Mosè.

7. Giosuè parla brevemente della sua vicissitudine notturna. Dio era emerso dalla colonna di Fuoco, aveva benedetto Mosè e lui, e messo la carica nelle sue mani, nelle mani di Giosuè. Dio gli aveva indicato la via sulla quale doveva condurre il popolo. Israele avrebbe avuto pace per un lungo tempo, e ognuno sarebbe stato amico e fratello del prossimo. A questo, fanno cenno col capo tutti quelli che aiutano a portare il destino dell’Israele viandante.

8. Giosuè termina: “Il Signore mi tese la mano. Non dimenticherò mai quale flusso mi compenetrò, ed era certo solo un soave attirare, senza forza. Io pensai: ‘Se Tu, o Dio, non fossi ultrasanto, mi getterei nelle Tue braccia, e Ti chiamerei: PADRE!’. E non appena pensato, Egli disse meravigliosamente: ‘Lo puoi fare; giacché Io sono eternamente un PADRE, infatti, non sarei un Creatore se non fossi nello stesso tempo, anche Padre![22]. Sprofondai al Suo petto, e Mosè si appoggiò alla Sua spalla, e ci tenevano le braccia di Dio-Padre, avvolti.

9. E poi è venuto il congedo. Dio e Mosè vennero con me fino alla strada carovaniera che devia verso Moab. Là essi attesero, finché io non giunsi al campo. Ah, quante volte mi sono voltato! Ma il Signore aspettava, finché dietro di me la porta fu chiusa. Non vidi dove Egli condusse Mosè”. C’è un lungo silenzio. Ognuno è immerso nell’angoscia; ma a ogni minimo rumore, tutti alzano lo sguardo, credendo che Mosè debba arrivare. Non arriva! Egli ha compiuto la sua opera terrena; porta molti covoni dall’ampio Campo della Creazione, su al Signore, il Quale gli ha subito restituito la sua veste di Luce.

10. “Sanhus!”, esclama Giosuè. Il suo sorriso gentile non può nascondere la tristezza. “Vieni qua e riferisci ciò che hai visto! Parla senza timore, ma non dire nulla che possa rendere non vero il racconto. Dio lo ascolta precisamente, e i padri d’Israele vogliano badare oggi alle parole di un fanciullo”. Kahathael conduce il suo ragazzo al tavolo da giudice, lui stesso ritorna al suo posto. Sanhus sta tra Giosuè e Hur. Egli li guarda con tanta riverenza, che da ciò è già riconoscibile la Verità del suo discorso. Dopo un profondo respiro comincia a parlare sotto segreta, e nondimeno, chiaramente riconosciuta ispirazione:

11. “Io stavo con il padre”, fa un cenno ai genitori, “e aspettavo, come tutti gli altri, il ritorno di Giosuè e …di Mosè, del quale ognuno sapeva che non sarebbe ritornato. Sentii l’impulso, come la prima volta, di andar fuori. Qui dentro”, Sanhus indica il suo petto, “Sentii chiaramente: ‘Vieni al santo Tabernacolo!’. Quando giunsi alla porta occidentale, essa era aperta, e vidi i guardiani; ma nessuno mi fermò”. Giosuè dice che era stata chiusa dietro di lui, di conseguenza erano stati tenuti chiusi gli occhi dei guardiani, e la porta fu aperta spiritualmente per Sanhus.

12. “Il fuoco al recinto mi risplendeva incontro. Non camminavo molto veloce, ma presto arrivai. Da lontano sembrava come se bruciasse tutto il deserto; era come un mare di fiamme. Anche nel cielo passavano larghe strisce di luci scintillanti, incorniciate qua e là dal fuoco. Non avevo paura, solamente mi sentivo strano; non posso dire come mi sentivo”. Il ragazzo intende il suo profondo rispetto.

13. “Cominciai a tremare; ma ecco che accanto a me stava di nuovo il bel giovane che mi aveva portato nel Tabernacolo. Ero contento e glielo dissi anche, ma egli mi ordinò di tacere e mi condusse all’ingresso del recinto. Là stavano molti giovinetti e fanciulle; era assai stupendo. Io credo semplicemente, che fossero angeli. Allora anche il SIGNORE uscì dal Suo Santuario e condusse Mosè per mano, proprio come il giovane teneva me.

14. Non si può descrivere DIO, sebbene io Lo abbia visto chiaramente. Il Suo volto era più luminoso del Sole. Portava una veste pesante, e sulla spalla era posato un mantello, blu come il Cielo superiore, e sul petto un segno d’oro, un fermaglio, che teneva insieme il mantello. Mosè sembrava molto giovane, quasi come il giovinetto, ma così, come se egli fosse suo padre. Alcuni celesti seguivano Dio e Mosè, e gli somigliavano. Essi portavano vesti differenti, e ognuno aveva uno strano fermaglio sul petto.

15. Quando Dio passò davanti a me, io caddi in ginocchio. Egli mi guardò. Oh, quanto amorevole era il Suo sguardo, per nulla severo, piuttosto, così come se Si rallegrasse di cuore. Seguimmo la grande Figura, e i giovinetti e le fanciulle ci seguivano. Era un corteo molto lungo, come un raggio di fuoco[23], passando da questa parte del fossato verso il Pisga.

16. Presso il monte Nebo, tutti si fermarono. Solo Dio vi salì, e Mosè accanto a Lui. Sebbene fosse alto, io vedevo comunque tutto. Là, Mosè s’inginocchiò, e Dio disse che la sua vita benedetta era terminata, ed egli sarebbe diventato ciò che era prima. Anche Mosè lo vide, e piangeva calde lacrime di gioia, e chiamava Dio con il Suo nome, nome che io non compresi. Poi Dio prese il magnifico mantello nuovo di Mosè, lo stese su di lui, che stava in ginocchio, e disse:

17. ‘Ora sii coperto per questo mondo, Mio fedele servitore. Tu hai compiuto cose grandi! Sotto questa copertura ti voglio portare nel Mio Regno. Per il mondo sei morto; ma nessuno ti troverà, perché per te non esiste il morire. Ti sotterro nel Mio terreno santificato, in cui ogni figlio ha eternamente la sua radice della Vita’.”. Sanhus tace, perché è sopraffatto dal ricordo, ma anche perché le donne, e senza vergogna alcuna, gli uomini, si asciugano le lacrime. – Giosuè afferra affettuosamente la mano del ragazzo, che egli tiene fino alla fine. “Continua, Sanhus, noi ti ascoltiamo!”

18. “Poi i grandi di Luce uscirono, mentre i giovinetti con le fanciulle formarono una larga via. Diventarono sempre di più. Io non li vidi per niente arrivare, essi erano semplicemente là. I grandi posarono il Mosè coperto, nelle braccia di Dio. Il mantello penzolava da tutte le parti, sembrava una coltre funebre, scintillante come l’argento; e i lembi, azzurro chiaro, e larghi, toccavano a terra. Il Signore portò il Suo Mosè giù dal Nebo, seguito da tutti i celesti.

19. Due grandi presero in mezzo me e il giovane, e andammo nella seconda fila, dietro a Dio. Non sentivo più come andavo. Alla sorgente, presso le sette palme – una volta andai a prendere della merce con la carovana in Beth-Peor, e conosco quel posto – Dio pose il coperto Mosè a terra. I grandi circondarono Dio, ed io guardavo attraverso di loro. Solo, ciò che successe dopo, non lo so precisamente. Una cosa l’ho vista chiaramente: il mantello di Mosè giaceva lì, a un tratto, come se egli lo avesse tolto, non senza fare attenzione, piuttosto, così come se non ne avesse più bisogno. Sopra di questo, Dio si librò visibilmente in alto; e del tutto certamente, con Lui c’era anche Mosè. Dio, infatti, teneva un grande per la mano, proprio così come prima portava Mosè.

20. La lunga schiera, i cari giovinetti e le delicate fanciulle, seguivano Dio, tutti verso l’alto, e presto scomparvero. Solo un grande faceva la guardia al mantello. Io volevo andare lì; ma egli con un cenno mi fece capire di no. Poi non so più nulla, il giovinetto deve avermi riportato a casa. Non mi ricordo di essermi addormentato, perché ero chiaramente sveglio”.

*

21. Segue un interminabile silenzio. Eleasar per primo si fa coraggio. “Potresti ritrovare il posto dove giaceva il mantello di Mosè? Là si dovrebbe trovare anche la sua fossa; poiché solo lo spirito giunge alle Altezze, il materiale rimane indietro. Ora è certo che per quarant’anni abbiamo avuto come guida un angelo superiore”. Questo è vero.

22. Il ragazzo risponde sicuro: “Dobbiamo trovare il mantello di Mosè; il Signore l’ha promesso a Giosuè”. – “Come sai tu questo?”, domanda stupito Giosuè. – “L’ha detto il giovinetto”. – “Domani inizieremo la ricerca, oggi è troppo tardi”. – “Oh, no”, implora Sanhus, “preferisco andarci subito; con i dromedari ci arriveremo in due ore di cavalcata”. – “Se ritroverai il posto”, dice il principe Hur. Il fanciullo sorride, fiducioso nella guida di Dio:

23. “Non dovrebbe Dio farci trovare il mantello?”. – “Giovanotto, la tua fede è grande; essa basta per tutta Israele!”, esclama l’anziano Nun, benedicendo il fanciullo. – “Affrettiamoci!”, Giosuè si alza rapidamente. “Voi, principi anziani, no, la veloce cavalcata sarà pesante. Altrimenti decidete chi vuole venire”. Chiunque crede di farcela, è pronto. Hur chiama gli ittiti, e Giosuè i mori, che da ieri sono abbattuti e depressi e non si muovono per nessun lavoro. Giosuè è abbastanza indulgente da lasciar vivere loro il dolore fino in fondo. Ma non appena sentono che il mantello di Mosè giace nel deserto, sono i più veloci a sellare il magnifico dromedario bianco per Giosuè, che finora serviva Mosè. Anche per se stessi sellano veloci cammelli.

24. “Possiamo venire anche noi, signore?”, essi si affliggono continuamente, anche se Giosuè ha già dato da un pezzo il suo sì. I servi conducono rapidamente gli animali. Israele accorre. Quando vorrebbero seguire lo squadrone di cavalleria a piedi in fragorosi gruppi e su piccoli asini, Giosuè dice loro cortesemente che ostacolerebbero solo la veloce cavalcata. “Ci aiuterete meglio e fate secondo la Volontà di Dio e per la mia gioia, se rimanete nel campo”. Allora obbediscono, anche se non proprio volentieri. Corrono in ogni caso alla porta del vallo occidentale, attraverso la quale Giosuè è corso via galoppando con il seguito.

25. Sanhus siede sul robusto animale di Giosuè, . Ai due lati cavalcano i mori. Un centinaio di uomini formano la scorta. Imperturbato, il fanciullo indica una via, come se non l’avesse fatta nella notte, impressionato dà cose che dal santo Aldilà si ergono nel nudo aldiquà. La catena montuosa del Pisga si avvicina. A questo punto il fanciullo tira le briglie a sinistra, e il bianco dromedario obbedisce alla piccola mano, a un tratto non più molto leggera.

*

26. Dopo una mezz’ora si vede Beth-Peor, principalmente la grossa, rossa torre di guardia. Sanhus alza subito la mano: “Là, là, le sette palme!”. Si leva in alto della sabbia. Giosuè sprona alla massima velocità. Egli è per primo sul posto e salta giù, prima che il dromedario si metta a terra. Un salto rischioso, per un uomo non più giovane. Sanhus è ruzzolato giù dal collo come un gatto. Ombreggiano i loro occhi, mentre i restanti cavalieri arrivano a briglie sciolte.

27. “Ecco”, esclama Sanhus, “Il mantello! Il mantello!”. Con un grido risonante si lancia su questo. Il mantello giace accanto alla sorgente, come se qualcuno lo avesse appena fatto cadere. Ma nel vasto circondario, nessuna traccia di fossa. Ovunque essi cerchino, non si offre nessun punto d’appoggio. – “Domani cercheremo secondo un piano prestabilito”, consiglia il gran principe Hur. “Si deve pur trovare la fossa! Sanhus, sai precisamente se Dio ha deposto qui Mosè?”. – “Completamente certo!”, assicura l’interrogato. – “Il mantello lo conferma”, assicura Giosuè. “Prima però, si deve chiedere in Beth-Peor se si può scavare; il territorio appartiene ai moabiti”.

28. “Ci vado subito”, si offre il principe Paghiel. “Il tempo è prezioso. Giosuè, sarebbe bene che tu tornassi a casa a causa del popolo. Io spero di essere di ritorno prima della notte”. – Giosuè è contento. “Prendi con te gli ittiti e i mori”. Seguono anche Kahathael e il fedele Aser. – Paghiel porta buone notizie. Il principe di Beht-Peor ha dato il permesso e mette a disposizione degli uomini che, come residenti, conoscono il territorio molto meglio degli israeliti, anche se questi sono già da lungo tempo accampati al fossato. Soltanto, per tre giorni, in centinaia, cercano invano la fossa. Tutto Israele piange. Quanto più passa il tempo, tanto più ognuno sente la perdita del grande amore che procedeva instancabilmente dal buon servo di Dio.

29. Ora si sente dire molto: “Ogni volta mi domandava come stava la madre paralizzata”. – “Da me non è mai passato senza dare uno sguardo ai figli”. – “Ah”, esclama un giovane uomo, “io avevo tante preoccupazioni a causa della mia Sara, e solo grazie a Mosè, essa è diventata la mia cara moglie”.

30. “Una volta mi ha sgridato molto, ma egli era nel giusto, perché intorno alla tenda era molto sporco. Quando noi, di cattivo umore, abbiamo fatto pulizia, contento ci ha pure dato anche la mano”. Così corre di bocca in bocca ciò che egli annunciava con instancabile energia, portato da rigoroso ordine e benedetto da profondo amore traboccante. Ma questo non riporta indietro Mosè; e nessuno lo trova. Il principe di Beth-Peor visita Giosuè con sfarzoso seguito. Essi indossano dei drappi di color viola in segno di profondo lutto, perché un grande ha lasciato il mondo.

31. Sanhus nel quarto giorno sta presso i guardiani del vallo, quando arrivano gli stanchi lavoratori del badile, ancora una volta senza successo. Profondamente pensieroso va alla tenda del principe. Vuole già entrare, ma all’interno sente Giosuè consigliarsi con parecchi principi e anziani; e così arresta il suo passo. Ma il suo amico lungo, l’ittita, l’ha annunciato, e Giosuè stesso lo chiama dentro.

32. “Sono appena ritornati gli uomini”, dice Sanhus. – “E?”. – “Posso dire qualcosa io?”. – “Naturalmente puoi”. – Il fanciullo afferra la mano di Giosuè. “Signore, inutilmente si cerca il corpo di Mosè. DIO lo nasconde ma, …Egli non lo ha sepolto! Potrebbe, infatti, tale grande Stella, qual era Mosè, giacere nella sabbia, quando il SANTO presso recinto disse che la sabbia bisogna lasciarla dietro di noi per diventare ‘Stelle’?

33. Comprendo bene che non ogni uomo sia un Mosè, e che l’esteriore cada nella terra. Dio intende che anche il nostro cuore e la nostra anima, si elevano alla nostra Stella. Ma con Mosè è qualcosa di completamente diverso. Egli fu sempre Stella. Egli ha visto così spesso il Signoree Gli parlava! Non può perciò Dio, aver spiritualizzato anche il corpo di Mosè? Egli si librava in alto, con un grande alla Mano. Il sacerdote Eleasar ha ben ragione nel dire che sarebbe il corpo interiore, l’anima insieme allo spirito. Ma Mosè è tornato a Casa come Enoc[24], del quale il sacerdote Ithamar mi ha letto dalle Scritture. E nemmeno il corpo di Enoc è mai stato trovato!

34. “Allora…”, Sanhus indugia, se può parlare liberamente di fronte ai dignitari, “…io penso: perché si cerca il transitorio, dove abbiamo l’amore di Mosè? Egli non è morto, per noi! In te, Giosuè, Dio ci ha donato una seconda Stella. Io terrò Mosè sempre nell’alto onore, ma a DIO darò l’onore supremo, se ti sarò obbediente alla lettera. Tu decidi solo ciò che anche Mosè deciderebbe, giacché agisci solo secondo la Volontà di Dio. Quindi, alla fine, il mantello del Signore dovrebbe essere portato a casa, affinché lo porti tu, e Israele non resti senza padre terreno”.

35. Per un po’ c’è silenzio, come tante volte. Eleasar abbraccia il fanciullo. “Hai parlato davvero dall’alto Spirito di Dio, Sanhus, e vogliamo ringraziare il Signore che, attraverso di te Egli ci abbia aperto gli occhi”. – Tutti sono d’accordo: “Sì, questo è vero! A Dio, il Signore, nostro Padre nell’eternità, sia ringraziamento, lode, onore e gloria!”

*

36. Il mattino successivo si cavalca fuori, sul posto, dove in questi giorni quattro guerrieri di Beth-Peor hanno fatto la guardia al mantello di Mosè. Quando si giunge, c’è lì un quinto, un uomo molto grande. Secondo la veste, è un forestiero. Sanhus, che è venuto con loro, pensa: questi è un Alto, oppure, …DIO stesso. I moabiti credono invece che sia un israelita, poiché ha parlato con loro nella loro lingua.

37. Giosuè persiste. Chi è l’Alto? Allora gli Occhi forestieri lo guardano, profondamente, ermetici, miti e …fiammeggianti, che si spaventa. ‘Come gli occhi di DIO’, pensa anche lui, chinandosi profondamente. L’Alto solleva il mantello, lo dà a Giosuè dicendo: “Portalo; perché in esso sono intessute le forze di Mosè che il buon servo possedeva. Questa forza dovrà rimanere con te. La pace sia con te, con Israele, e con tutti gli uomini buoni!”. L’Alto scompare, come soffiato via. – E i moabiti esclamano: “Era un Dio!”. Sì, Questi era il SIGNORE, il Dio d’Israele, il Dio dell’Universo.

38. Il dromedario bianco porta a casa, a Israele, il meraviglioso mantello di Mosè, che lui ricevette dal Signore, come una volta le Tavole della Legge sul Sinai. Due capitani della giovane truppa di guerrieri guidano l’animale. I principi e gli anziani vanno a piedi attraverso il campo, attraverso le tribù allineate in silenzio fino al Tabernacolo della preghiera. Là, viene custodito il mantello che il venerabile Nun, il sabato successivo, davanti a tutto il popolo, metterà sulle spalle del suo prescelto figlio, Giosuè.

 

* * *

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[1] ‘Seir’: il nome di un monte a sud della Palestina

[2] Deuteronomio 32,15

[3] ‘Gad’: ovvero, il popolo della tribù di Gad.

[4] - Giosuè cap. 24

[5] [Deut. 34, 11: «Nessuno è stato simile a lui in tutti quei segni e miracoli che Dio lo mandò a fare nel paese d’Egitto contro il Faraone, contro tutti i suoi servi e contro tutto il suo paese»].

[6] ‘Corridore del deserto’: probabilmente un kral, veloce animale da soma e da traino, oggi estinto

[7] - [Esodo 20,7: «Non pronuncerai inutilmente il Nome del Signore, tuo Dio, perché Egli non lascia impunito chi pronuncia il Suo Nome inutilmente»].

[8] - Numeri cap.16: “Ribellione di Core, Dathan e Abiram”

[9] ‘La spada di Abraham’: Trattasi di una spada che Dio stesso aveva dato ad Abramo, forgiandola allo scopo su un particolare focolare. – [Vedi “Il patriarca”, cap. 6,7]

[10] ‘Asmodeo’: demonio biblico

[11] [cfr., come similitudine: Giov. 11,50: «Voi non capite nulla, né riflettete che è più vantaggioso che un uomo solo muoia per il popolo, e non perisca tutta l’intera nazione».]

[12] [Esodo 33,11: «E l’Eterno parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico».]

[13] [Esodo 32,32: «Nondimeno, perdona ora il loro peccato, se no, deh, cancellami dal tuo libro che hai scritto».]

[14] [Esodo 32, 35: «E l’Eterno percosse il popolo, perché esso era l’autore del vitello che Aaronne aveva fatto».]

[15] [Esodo 33, 18: «Mosè disse: ‘Deh, fammi vedere la tua gloria!»]

[16] ‘le alture del Seir’: Genesi 36,8

[17] ‘Mustang’: una particolare razza di cavalli, forti e indomiti.

[18] Deuteronomio cap. 33

[19] - Esodo cap.15

[20] [Isaia 63, 16: «Nondimeno, tu sei nostro Padre, poiché Abramo non sa chi siamo e Israele non ci riconosce; tu, o Eterno, sei il nostro Padre, il Tuo nome, in ogni tempo, è ‘Redentore nostro’.»]

[21] - Deuteronomio cap. 32

[22] [cfr., come similitudine, Dio usa le stesse parole che Mosè aveva pronunciato al popolo: Deut. 32,6: «Non è egli il padre tuo che ti ha creato? Non è egli colui che t’ha fatto e ti ha stabilito?»].

[23] [Dan. 7, 10: «Il fiume sgorgava e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, e diecimila miriadi gli stavano davanti. Il giudizio si tenne, e i libri furono aperti»].

[24] [Gen. 5, 21-24: «Ed Enoc visse sessantacinque anni, e generò Methushelah. Ed Enoc, dopo che ebbe generato Methushelah, camminò con Dio trecento anni e generò figlioli e figliole; e tutto il tempo che Enoc visse fu trecentosessantacinque anni. Ed Enoc camminò con Dio, poi disparve, perché Iddio lo rapì».]